Populismo 2.0, di Marco Revelli, è un breve ma incisivo saggio sul populismo e le sue conseguenze sulla società contemporanea. Il populismo, per l’autore, è generato da un deficit di rappresentanza politica. La deriva demagogica nasce dall’incapacità della classe politica di ottenere una delega piena dal popolo. L’attuale populismo ha, quindi, la natura di un rifiuto delle “elites” che hanno tradito la rappresentanza politica. Da tale rigetto nasce la volontà di capovolgere l’assetto del potere per restaurare la centralità del popolo.
Revelli distingue tre elementi propri della categoria del populismo: l’orizzontalità del taglio che crea la discriminazione; la distinzione manichea tra il bene rappresentato dal popolo e il male identificato dai gruppi al potere; la personalizzazione, che si sostanzia nella identificazione del popolo in un capo carismatico. L’autore sottolinea quanto sia importante considerare il populismo alla stregua di una forma politica, respingendo quindi il concetto fuorviante di antipolitica. Questo perché il populismo rappresenta un difetto della democrazia e non va identificato come una possibile soluzione ai problemi della stessa.
Revelli analizza con un taglio quasi manualistico le odierne forme di populismo, partendo dall’elezione di Donald Trump a presidente degli USA e arrivando a descrivere le fattispecie all’interno dei nostri confini. L’autore descrive una sovrapposizione tra coloro che hanno votato per Trump e i sostenitori della Brexit, identificando nella decadenza dei valori della sinistra il vero motore del populismo. Infatti la caduta di organi intermedi finalizzati alla tutela dei diritti del cittadino per lavoro, sanità, cultura ecc ecc. ha lasciato un vuoto, che è stato occupato dalla “forma informe” del populismo. Per queste ragioni l’avvento di Trump e l’uscita della GB dall’Unione Europea sono fenomeni nascenti dalla marginalizzazione del ceto medio, in precedenza molto più attivo nella vita politica. Tale attivismo, soppiantato da un sempre maggiore potere delle tecnocrazie e dei mercati, è stato trasfuso in forme populistiche.
Per Revelli l’Italia rappresenta uno dei più interessanti laboratori del populismo. Lo scrittore ne identifica ben tre manifestazioni. C’è quello di Berlusconi, che all’inefficienza del sistema contrappone un modello aziendalistico della comunicazione, tutto basato sull’uso potentissimo della televisione come mezzo di diffusione delle idee. C’è quello di Grillo, imperniato sulla disonestà della classe politica. Esso è definito cyberpopulismo, per l’imponente uso della rete. E infine c’è quello di Renzi, che fa leva sull’inadeguatezza dell’attuale classe politica e, quindi, sul concetto di rottamazione dei partiti come sostituzione del vecchio e malato sistema con uno nuovo, ipoteticamente foriero di speranza per la ricostituzione della sintonia tra gruppi politici e ceti intermedi. L’autore ritiene che queste forme di demagogia siano tre facce della stessa medaglia, originate da una situazione in cui “la paura muove tutto e qualcosa si è rotto nel profondo”.
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