La Quinta sezione penale della Corte di cassazione ha stabilito limiti alla cronaca di tipo giudiziario. Il caso è scaturito dal ricorso riguardante la condotta di un giornalista impegnato nella ricostruzione di un caso che aveva come fonte principale l’informativa della locale Squadra mobile della Procura. Un’informazione a quanto pare solo cronologicamente recente ma che fungeva da riepilogo di indagini pregresse. La Corte, al riguardo, ha tenuto a precisare che la cronaca giudiziaria debba avere come fine primario “la verità della notizia quale risulta nel momento in cui viene diffusa”. Per fatti distanti nel tempo e dunque soggetti a modifiche il giornalista dovrà verificare, nel momento in cui scrive l’articolo, se siano intervenute o meno circostanze che possano aver inciso sulla verità del fatto. Ma che cosa succede se il giornalista non avrà questa possibilità? Semplice, l’inaccessibilità a tali “aggiornamenti” lo dovranno indurre a non pubblicare la notizia o a precisare che “la verità del fatto non è stata ancora accertata nella sua sede naturale”.
La sentenza, in pratica, sancisce che la liceità della cronaca giudiziaria sia ammissibile solo quando illustri e verifichi i contenuti di un procedimento giudiziario, che non potrà fungere da unica fonte per l’inchiesta o per le congetture ed opinioni del giornalista. Ma c’è di più. La sentenza spiega anche come argomentare l’opinione “senza tradire il fatto così come risulti accertato nelle sedi accreditate” e ponendo tutti gli interrogativi possibili.
Prima di rievocare notizie di cronaca distanti nel tempo, dunque, i giornalisti avranno tre alternative: o avere a disposizione tutti gli elementi utili alla ricostruzione del caso o ammettere di aver scritto un articolo con lacune informative o, al limite, evitare proprio di scriverne.
Giuseppe Liucci
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