Martedì 4 marzo si sarebbe dovuta istituire la Commissione ministeriale per l’equo compenso giornalistico. Ma se il fumo che esce da Bagnoli è nero, nerissimo come quello del conclave riunito in Vaticano, scendendo migliaia di chilometri in basso il risultato non cambia. La Commissione si è riunita ma non si è istituita. Il problema è da azzeccagarbugli, quanti sono e chi sono i rappresentanti delle associazioni datoriali? Un dilemma tipo cubo di Krubik, Ponzio Pilatamente rimesso a pareri giuridici dell’avvocatura di Stato. L’equo compenso è stato uno dei maggiori successi del presidente dell’ordine dei giornalisti, Iacopino, che ha mosso mari e monti affinché il Parlamento approvasse una legge che risolvesse una volta e per tutte il problema dei giornalisti precari. Rendendoli, finalmente, ad un maggiormente stabile stato di definitiva disoccupazione. E sì perché in un momento in cui chi lavorava va a spasso per le imponenti operazioni di ristrutturazione che stanno azzerando l’editoria italiana, è stata condotta una battaglia di retroguardia per rendere equi i compensi dei collaboratori; compensi che la cronaca sindacale di questi giorni ci informa essere già pagati con grande ritardi o non pagati proprio, per quanto iniqui possano essere. E vista il numero di fallimenti e degli accessi alle procedure concorsuali da parte di moltissime società editoriali, sembra difficile l’incasso della poca pecunia spettante ai collaboratori. Ma una commissione ministeriale risolverà tutto, evviva, evviva.
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