IN FRANCIA TIENE BANCO LA LEGGE ANTIPIRATERIA DIGITALE

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Una legge che divide. Che fa discutere. La “Hadopi”, che in questi ultimi giorni è stata dibattuta all’Assemblea Nazionale in Francia pone numerosi interrogativi. Tema della questione, la pirateria digitale.
Il progetto fortemente caldeggiato da Nicolas Sarkozy e sostenuto dal Ministro della Cultura e delle Comunicazioni Christine Albanel prosegue il cammino verso la regolamentazione delle reti informatiche in materia di beni culturali, cominciato dalla legge Dadsvi sul diritto d’autore e i diritti vicini nella società dell’informazione del 1 agosto 2006. Adottata in meno di 24 ore il 30 ottobre scorso al Senato, in un clima di consenso quasi generale (UMP, centristi e socialisti hanno votato a favore, i comunisti si sono astenuti), la legge è approdata all’Assemblea Nazionale, ma il suo cammino ha conosciuto una battuta d’arresto.
Molte le critiche. Non solo degli internauti, che l’hanno definita « liberticida » ma anche beffeggiata, in quanto obsoleta. In sede istituzionale, a Marc Le Fur, Alain Suguenot, Lionel Tardy, deputati dell’UMP, che, contrari ad alcuni punti del dispositivo hanno depositato alcuni emendamenti per il provvedimento, si sono uniti Jean Dionis du Séjour, portavoce del gruppo « Nouveau Centre », e i socialisti Patrick Bloche e Didier Mathus.
La legge prevede la creazione di un’Alta Autorità (Hadopi) competente ad irrogare sanzioni nei confronti di chi scarica illegalmente musica, film, telefilm o videogiochi da Internet.
E’ previsto l’invio di due avvertimenti, ma alla terza infrazione al “pirata”, colpevole di “downloading” illegale, verrà bloccato l’abbonamento a Internet fino a un massimo di dodici mesi.
C’è chi parla di diritti violati, chi lamenta la troppa severità dei provvedimenti sanzionatori. Chi invece ritiene che la regolamentazione sia indispensabile per mettere al riparo il mercato cinematografico e discografico paralizzato da una crisi dalla quale non riesce a uscire. C’è chi invece sostiene che questa crisi non esiste, come l’associazione dei consumatori francesi UFC, che risolverebbe il problema della pirateria in tutt’altro modo. Istituendo una “licenza globale”, imponendo un contributo mensile (da aggiungere al costo dell’abbonamento ad internet) per sostenere l’industria, remunerare giustamente gli artisti ma anche e soprattutto lasciar liberamente circolare la cultura sulle nuove autostrade dell’informazione, quelle di internet.
Il tentativo di arginare con la legge Hadopi le minacce del popolo del download che ogni giorno attinge alle risorse del web illegalmente non passa inosservato. Si tratta di una misura costosa. Oltre che impopolare. Richiederà numerosi investimenti da parte dei provider per cifre dai 60 ai 70 milioni di euro per poter adattare le infrastrutture ai parametri imposti dal nuovo dispositivo di legge. Il progetto di legge automatizzerà la lotta al download illegale. Ogni giorno saranno inviate diecimila mail di (primo) “avvertimento” e tremila raccomandate per i recidivi del “secondo colpo”, mentre 180 mila abbonati all’anno potrebbero vedersi sospendere l’abbonamento a internet, secondo le stime del CGTI (Conseil général des technologies de l’information).
Il ministero della cultura ha valutato i costi tecnici del progetto di legge per 20 milioni di euro. Ma il prezzo da pagare è molto più alto. I provider, che vedranno drasticamente ridurre il numero dei loro abbonati come conseguenza dell’entrata in vigore a pieno regime del provvedimento, dovranno far quadrare i bilanci sostenendo nel contempo i costi strutturali di adeguamento delle infrastrutture.
Alle spese dei provider andranno aggiunte quelle di funzionamento dell’Autorità, il cui budget è stato stimato a circa 6,7 milioni di euro.
La discussione della legge riprenderà il 31 marzo. Ad oggi, le associazioni di categoria dei consumatori, gli internauti e molti uomini politici si oppongono al provvedimento. Quasi impossibile è trovare su internet un sito o un blog favorevole alla “Hadopi”. Molti vi si oppongono per principio, molti altri per il timore di un web asettico, controllato, censurato.

La storia recente dimostra che la repressione non sempre funziona. Anzi, spesso fallisce. Il mondo del web è una delle piattaforme di espressione più “democratiche” di tutti i tempi. E stavolta la posta in gioco è alta. Non necessariamente, però, i burocrati della politica avranno la meglio.
I meccanismi di limitazione del web per “quelli del mestiere” sono facilmente aggirabili. La legge probabilmente renderà più difficile il “peer-to-peer”, ma, probabilmente, il fire-sharing è destinato a durare. Del resto, questo fenomeno fa bene anche alle major. La democratizzazione della cultura è un meccanismo inclusivo, che porta gli individui a diventare consumatori di un qualcosa che fino a quel momento non conoscevano. Internet è un medium che genera fidelizzazione. Che suscita curiosità negli avventori, che spinge le persone a informarsi.

Chiudere le porte alla conoscenza potrebbe non essere la scelta migliore. Una scelta sbagliata che però, d’altro canto, potrebbe essere bypassata da chi il web lo conosce davvero. Le nuove generazioni.
(Serena Fusco)

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