La dittatura digitale dei social network

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Facebook ha rimosso il video con cui il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha citofonato ad un ragazzo chiedendogli, davanti a decine di telecamere, se fosse uno spacciatore. La rimozione di contenuti da parte di facebook è oramai prassi diffusa. La società di Zuckenberg arriva addirittura a cancellare i profili di utenti senza alcun contraddittorio. Ma torniamo alla rimozione del video di Salvini. Tenendo conto di diverse circostanze. Facebook è un operatore economico: e la Lega è un buon cliente, in quanto utilizza in maniera massiva i social network per la sua comunicazione; la lega è anche un ottimo diffusore di contenuti, in quanto la cosiddetta “bestia”, la macchina da guerra della propaganda di Salvini, sforna post come le pizze ed ha centinaia di followers. Ma la lega è anche il maggiore partito politico italiano e ha un’importante rappresentanza nel parlamento europeo. Facebook è un operatore economico e, quindi, il decisore politico può influenzare i suoi risultati, attraverso temi attuali, quali il regime fiscale, i limiti antitrust, gli obblighi di trasparenza nella gestione degli algoritmi. E’ facile comprendere come ogni decisione di una società privata che coinvolge direttamente la politica debba essere analizzata con l’attenzione che merita. Facebook ha cancellato il post, ma non ha sospeso nessun profilo; e potrebbe essere accusata di essere stata troppo morbida. Ma d’altronde Facebook ha cancellato un video che è disponibile in rete praticamente ovunque. Quindi, potrebbe essere accusata di essere troppo rigida. Il punto non è questo. Ma che una società che svolge un servizio pubblico come facebook, perché l’informazione rimane un servizio pubblico, non può essere priva di un controllo pubblico. Facebook potrebbe rimuovere questo post perché non gli garba; sospendere il profilo di una testata giornalistica. Ed è grave, gravissimo. Ma ancora più grave è il rischio, molto concreto, che facebook possa influenzare la politica, soprattutto in un momento in cui i politici stessi sono troppi impegnati a twittare e postare per porsi una domanda semplice: come evitare di entrare in una dittatura digitale.

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