La vicenda dell’archivio storico della concessione da parte della Rai a Giovanni Minoli dei diritti per parte dell’archivio storico di parte della produzione del format “La storia siamo noi” pone interrogativi che richiederebbero risposte. Il Fatto Quotidiano è partito all’attacco ipotizzando che Minoli abbia posto sul piatto della bilancia la questione dei diritti per rivendicare un diritto di prelazione per la carica di Presidente della Rai. E ha posto il problema della poco avveduta attribuzione dei diritti a Minoli da parte dell’ex direttore generale della Rai, Mauro Masi.
In altri termini la Rai, questa è l’accusa, avrebbe pagato l’ideatore di Mixer per produrre un format per il quale si è riservato parte dei diritti. La replica di Mauro Masi attraverso una lunga lettera pubblicata sul Foglio è nello stile dell’ex direttore generale della Rai: un profluvio di parole per affermare incerti profili giuridici di cui solo lui è in possesso, con l’ennesimo appello a riformare le norme in materia di tutela della proprietà intellettuale rivolgendosi chiaramente a lui, unico detentore della Verità. A prescindere dai personalismi e dalle qualità degli uomini, in realtà questa vicenda pone problemi circa le modalità con cui bisogna pensare ad una Rai in grado di garantire il ruolo di servizio pubblico che le è attribuito per contratto di servizio.
Tralasciando il passato, mai come oggi è necessario pensare al futuro ed al ruolo che una grande azienda pubblica deve avere per sostenere non solo la cultura, ma anche la memoria storica del Paese. L’archivio storico della Rai è un patrimonio inalienabile dell’intera nazione. E la produzione corrente non può essere in alcun modo essere limitata da accordi che neghino all’azienda di Viale Mazzini, e di conseguenza al Paese, una privativa per le opere prodotte e pagate dalla Rai.
I profili economici vanno inquadrati in una prospettiva di breve periodo e occorre semplicemente verificare che relazioni ed amicizie portino a produrre contenuti di basso profilo ad alti costi. Ma i profili culturali e contrattuali sono di lunga durata, sono quelli di cui occorre tener conto e non possono essere derogati; e ancor più in virtù di ragionamenti privi di sostanza e poveri di diritto. Tanto da essere facilmente confutabili da studenti di giurisprudenza alle prime armi.
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