Categories: Giurisprudenza

Furto d’identità in rete, sentenza bis della Cassazione: “Spacciarsi per un altro è reato grave”

Il furto d’identità in rete? E’ un reato grave. Lo conferma (e lo ribadisce) la Suprema Corte che già con la precedente sentenza (la numero 12479/2011) aveva riconosciuto, in pratica, che il reato di “sostituzione di persona” scattava quando, attraverso la creazione e l’utilizzo di un account di posta elettronica, ci si attribuiva le generalità di un altro soggetto. Adesso, però, si è andati ancora oltre. Infatti, con la nuova sentenza (la numero 18826), depositata il 29 aprile scorso nella Cancelleria del Tribunale di Roma, è stato ritenuto reato utilizzare le iniziali del nome ed il numero di cellulare di un’altra persona, allo scopo di danneggiarne l’immagine e la dignità personale. Ma veniamo ai fatti.
A Trieste, una donna licenziata ha pensato di vendicarsi della sua ex datrice di lavoro, inserendola in una chat erotica, mediante le iniziali del suo nome e cognome, seguite dal numero del telefonino. La vittima presa di mira è stata, così, tempestata di sms, mms e telefonate di sconosciuti che le chiedevano appuntamenti a sfondo sessuale o che le rivolgevano pesanti insulti. Esaminati tutti gli aspetti del caso, la Corte d’Appello di Trieste ha condannato l’autrice del “furto” per i reati di ingiuria e per aver indebitamente inserito i dati identificativi di un’altra persona (sostituzione di persona) in un sito di incontri personali, mentre era stato dichiarato prescritto il reato di molestie. L’imputata ha quindi presentato ricorso, ma la quinta sezione penale della Cassazione lo ha rigettato, ricordando che: “integra il reato di sostituzione di persona la condotta di colui che crei e utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete Internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese”. I giudici del  hanno riconosciuto, insomma, la colpevolezza della donna specificando che il reato di sostituzione di persona non si realizza solo quando, in maniera illegittima, si prende il posto di un soggetto diverso, ma anche quando si attribuisce ad un altro individuo, un nome o uno stato, non corrispondenti alla realtà, perché questi dati contrassegnano, di fatto, l’identità della persona. A quest’ultimi, è stato precisato, è riconducibile, in tutte le forme di comunicazione internet, anche il nickname allorquando, come avviene in campo artistico per lo pseudonimo, senza alcun dubbio, ad esso viene associata una persona fisica. In tal caso, infatti, assume la connotazione d’identità valida a tutti gli effetti.  Come è accaduto per la donna di Trieste, l’utilizzo del nickname fasullo ha indotto in errore gli utenti della rete. E a farne le spese è stata l’ignara vittima, vistasi subissare di proposte hot e inviti a sfondo erotico. Inoltre sono state diffuse, e gravemente violate, le generalità di un’altra persona, con il chiaro intento di arrecarle danno.  Con questa nuova sentenza, si segna un punto a favore del diritto e della tutela della privacy e, contemporaneamente, si è ampliato il contenuto dell’ articolo 494 del codice penale, adattandolo ai cambiamenti derivanti dal web.

Giannandrea Contieri

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