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E’ MORTO CARLO CARACCIOLO. FONDÒ “LA REPUBBLICA” CON SCALFARI

Carlo Caracciolo, morto a 83 anni nella sua casa a Roma, viene considerato un protagonista di un’Italia fatta di impegno civile e di profonda passione per la cultura e la politica. Il Principe di Castagneto, Duca di Melito, ha legato la propria storia a quella di un gruppo editoriale e di un giornale, l’Espresso e La Repubblica.
Una vicenda che iniziò con un colpo di fortuna: era il 1956 quando Adriano Olivetti cedette a titolo gratuito le azioni dell’Espresso all’appena trentenne Caracciolo, fino a quel momento coinvolto solo nella gestione pubblicitaria della rivista. Il principe divenne così azionista di maggioranza della società e più di vent’anni dopo, insieme all’amico Eugenio Scalfari, diede forma e sostanza al progetto di un nuovo quotidiano: La Repubblica.
Caracciolo descriveva se stesso con grande ironia; scherzava sui titoli nobiliari; parlava in modo aperto della passione per le donne e delle sue idee politiche. Un capitolo a parte merita l’amicizia di una vita con Gianni Agnelli: un rapporto intenso andato oltre il legame familiare. La sorella di Carlo, Marella, sposò infatti l’Avvocato nel 1953.
Caracciolo – nel libro L’editore Fortunato – raccontava così il primo incontro con Agnelli: “Gli inizi dell’amicizia con Gianni, che sarebbe durata un’intera vita, posso collocarli nei primissimi anni Cinquanta. Lui, nato nel ’21, aveva quattro anni più di me. La cosa che di lui più m’impressionava era l’enorme desiderio di piacere. Aveva una vitalità straripante, quasi pericolosa. Era un giovane gaio, con disponibilità economiche ovviamente inesauribili cui facevano riscontro poche occupazioni”.
Proprio quest’anno, in una intervista a Claudio Sabelli Fioretti (La Stampa, 10 gennaio 2008), Caracciolo usava toni lievi e divertenti per parlare della sua vita . Chi la chiama Principe?: “Nessuno. Solo i posteggiatori. Tutto sotto sterzo, Principe”. Un titolo utile soprattutto per rimorchiare le americane. Dell’infanzia, rievocava le lunghe passeggiate a cavallo nella steppa in Turchia, poi in Svizzera quando suo padre divenne console a Lugano. E soprattutto fotografava un’immagine: “Mio padre che partiva, l’8 settembre, per raggiungere gli alleati a Napoli. Divenne poi sottosegretario nel primo governo Badoglio”.
Altra pagina importante dell’album dei ricordi di Caracciolo, la scelta di stare nella Resistenza, con i partigiani della Brigata Matteotti: “L’ho fatto per un anno. Sono anche stato fatto prigioniero. Avevo visto un gruppetto di combattenti che portavano dei fazzoletti rossi al collo. Li avevo rimproverati: ‘Non sapete che è proibito?’. Erano fascisti, mascherati da partigiani”. Il Principe forse uccise: “Eravamo in una baita in montagna. Sentii sparare, uscii di corsa, senza scarpe, vidi uno che mi puntava un mitra contro. Riuscii a sparare prima di lui e scappai. Ma prima lo vidi cadere”.
Caracciolo con schiettezza riconosceva di essersi “un po’ dispiaciuto” quando Carlo De Benedetti gli chiese di farsi da parte e di chiudere la sua esperienza alla presidenza del gruppo l’Espresso. Spiegava di capire senza condividerle alcune scelte fatte da Repubblica, come quella di seguire la linea della fermezza nel sequestro Moro, precisava che era stato Scalfari e non lui a “innamorarsi” di Ciriaco De Mita, mentre di Silvio Berlusconi diceva: “Svelto, spregiudicato, pieno di fantasia.
Non coraggioso. Insopportabile quando racconta barzellette”.
Berlusconi è stato suo nemico nella cosiddetta guerra di Segrate per il controllo del gruppo Mondadori, una ferita rimasta aperta e che lui raccontava con queste parole: “Girava la voce che Berlusconi stava concludendo un accordo con Cristina e Luca Formenton nonostante i Formenton avessero firmato un accordo con De Benedetti. Un giorno Berlusconi mi invitò a cena. Io, prima della cena, vidi Luca Formenton il quale mi smentì le voci. Mezz’ora dopo Berlusconi mi disse: ‘Carlo, abbiamo chiuso l’accordo con i Formenton’. Io gli dissi: ‘Sei un mascalzone e finiremo davanti al giudice’. E lui: ‘Deciderà il giudice’”.
Una vena inesauribile, una passione infinita per il mondo dei giornali e le sue sfide sempre nuove: l’ultima, a gennaio del 2007 a Liberation al fianco dell’azionista di maggioranza Edouard de Rothschild. Il principe acquista a titolo personale il 33,3% del quotidiano francese, diventa il secondo azionista, e investendo cinque milioni di euro nella ricapitalizzazione. Non si definiva un fuoriclasse dell’editoria ma un uomo intellettualmente vivace, non un comunista ma di sinistra, fortunato ma anche laborioso.

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