Manca poco alla sentenza che deciderà le sorti di Julian Assange, imputato di violenza sessuale nei confronti di due donne svedesi.
Arrestato nel 2010 con un mandato di cattura europeo, il padre di Wikileaks si trova al momento in libertà vigilata ed attende l’inizio dell’ultima e decisiva fase del processo che avrà inizio domani ed avrà durata di due giorni.
Le sorti del processo designeranno per la sua estradizione in Svezia (entro 10 giorni di tempo) in caso di riconoscimento della colpevolezza dell’imputato, o diversamente Mr. WikiLeaks non potrà essere estradato e i pubblici ministeri verranno screditati nel compito di emettere una mandato di arresto europeo.
Nel caso in cui l’Europa accogliesse però il ricorso del giornalista, l’hacker australiano avrebbe un ultimo asso nella manica da giocare, in caso di condanna può appellarsi alla Carta dei diritti umani di Strasburgo che entro 14 giorni è tenuta a dare una risposta.
Il processo è nelle mani dell’Alta Corte Britannica e nello specifico sette giudici, numero maggiore rispetto a quello solito, chiamati a giudicare quello che è stato definito come caso di “interesse generale”.
Assange sin dall’inizio ha respinto ogni capo d’accusa, spalleggiato dai suoi legali che hanno costruito la sua difesa mettendo in dubbio che un pubblico ministero, visto la sua estrema prossimità all’azione penale, possa essere considerato come un’autorità giudiziaria indipendente e dunque conforme a muovere una richiesta di estradizione.
Questa volta e in via definitiva, toccherà a Julian Assange essere giudicato dopo che è stato lui a giudicare con lo scandalo dei documenti riservati diffusi da “Wikileaks”, in cui i nomi più influenti del governo statunitense venivano messi in pubblica piazza.
Arianna Esposito
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