Categories: Giurisprudenza

Direttiva Europea E-Commerce. Le Associazioni non ci stanno. E’ guerra sulla concorrenza

La terza edizione del Global E-Commerce Summit ospitato ieri a Barcellona è stata una vetrina importante per 10 associazioni nazionali di categoria rappresentative del 50% della totalità dell’e-commerce in Europa. Per l’Italia c’era il consorzio Netcom, che insieme ad altre associazioni provenienti da Spagna, Belgio, Danimarca, Finlandia, Olanda e Regno Unito, hanno chiesto un approccio più equilibrato che riesamini alcune delle misure poste in essere nell’ambito della direttiva europea emendata dall’ EuroParlamento il 24 marzo scorso. Qualora il testo passasse, si legge nella dichiarazione comune indirizzata ai vertici europei riunitisi non a caso proprio ieri nel G8 di Deauville in Francia, comporterebbe oneri eccessivi, tali, da mettere in forse la stessa sopravvivenza delle imprese interessate dalla normativa. Gli emendamenti approvati dal Parlamento e rinviati al giudizio della Commissione, lo ricordiamo, miravano ad aggiornare le regole vigenti sul commercio transfrontaliero che prendessero in considerazione la crescita delle vendite online in concomitanza con l’enorme sviluppo dell’economia digitale. Si tratta di misure che investirebbero in pratica tutte le tipologie di vendita e cioè quella diretta, telefonica, per ordine postale e via Internet. Se da un lato la normativa assicurerebbe uno sgravio amministrativo per le pmi, il rafforzamento di alcuni diritti dei consumatori, quali l’accesso all’informazione (la conoscenza del costo finale della transazione, inibendo la pratica dei “costi nascosti”), le garanzie di spedizione (entro i 30 giorni trascorsi i quali l’acquirente può cancellare l’ordine), recesso e acquisto (entro 14 giorni e diritto al rimborso nei 14 successivi) dei prodotti venduti a distanza, comporterebbe oneri eccessivi oltre che generare una pericolosa spirale inflazionistica sui prezzi incidendo in maniera negativa sulla stessa scelta degli acquirenti. La stima dei costi si aggirerebbe intorno ai 10 miliardi di euro all’anno, il che avrebbe un impatto non trascurabile sui destini di molte piccole imprese europee che già faticano a sostenere la concorrenza globale, oltre che contribuire alla nascita di ulteriori debiti con l’ambiente per l’immissione nel mercato (ergo nel trasporto) di un numero cospicuo di beni restituiti al mittente con relativo aumento delle emissioni di CO2. Si tratta di considerazioni che per certi versi guadagnano maggior peso alla luce dei dati forniti dal rapporto McKinsey presentato all’E-G8 di questi giorni, che attesterebbero l’economia digitale al 20% della crescita mondiale degli ultimi 5anni. Negli Stati analizzati da McKinsey (Paesi del G8, Cina, India, Brasile, Svezia e SudCorea) per quanto riguarda i beni GDP (consumo privato, spesa pubblica, investimenti privati) Internet inciderebbe per il 3,4% sul totale. Ma il dato più importante riguarda il progressivo aumento delle aziende (il 24.6% contro il 75.4% delle imprese esistenti anche off-line) che usano la Rete come unica risorsa del proprio business.

LUANA LO MASTO

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