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TROPPI CARROZZONI E FESTIVAL. GLI EDITORI INSORGONO CONTRO GOMORRA E ACCUSANO SAVIANO DI PLAGIO

A Saviano va la riconoscenza degli uomini di buona volontà e, dato che io lo sono, anche la mia. Ma Saviano ha copiato il compito. Lo ha copiato da giornalisti validissimi. Alcuni di loro, in cambio di stipendi da fame. Lo scrive Gianluigi Guarino, dal 13 gennaio 2002 al 31 marzo 2007 direttore del Corriere di Caserta, quest’ultimo quotidiano, accusato da Saviano di essere ciarpame ed immondizia.
Ecco il testo completo dell’editoriale di Guarino:
Avrei volentieri fatto a meno di salire anch’io sull’allegro
carrozzone dei commentatori, dei postulatori e degli esegeti all’ingrosso del
sacro pensiero di Roberto Saviano.
Tanto più che in un normale martedì di settembre chi crede ancora che si possa
fare un’impresa anche al Sud senza accettare di passare sotto il giogo
dell’indelebile marchiatura assistenzialista, ha molto di meglio da fare che non
indugiare a parlare della vita e delle opere di uno a cui, se va dato atto di
essere riuscito, con un effetto che è andato, forse, al di là della causa e
delle stesse intenzioni, a “sdoganare” la camorra casertana, perequandola alla
mafia nella gerarchie delle emergenze nazionali, ora, da una parte non vuole
scendere comprensibilmente dall’inebriante giostra su cui è salito,
dall’altra fa una fatica boia a elaborare nuovi sviluppi di conoscenza e di
esperienze che ne possano vivificare il pensiero e l’azione. Una involuzione che
non di rado è capitata nella vita di uno scrittore o di un artista, che vivono
per la loro opera più che per successo mediatico della stessa. In questi casi,
gli scrittori, gli intellettuali veri cercano di ricaricare le loro batterie,
vivificandole attraverso lo studio, l’analisi, la riflessione. Saviano, invece,
non è e mai sarà (e sui motivi di questo
assunto, tutto tecnico, mi soffermerò, eventualmente, tra qualche giorno se avrò
un po’ di tempo da perdere
) uno scrittore vero. Come si dice, il
ragazzo è intelligente, ma svogliato. Nel senso che studia poco. Ma in Italia,
da almeno una quarantina d’anni a questa parte la qualità di una persona, le sue
possibilità di affermazione sociale ed economica non dipendono tanto dal grado
di dotazioni e di conoscenze culturali e, vivaddio, diciamolo, cognitive, quanto
dalla capacità di fare breccia, nella maggior parte dei casi con geniali
espedienti o trovate furbesche, in un senso comune ormai annebbiato dal
conformismo imperante, incapace di comunicare e, dunque, di alimentarsi dalla
fonte di una cultura sempre più pigra, sempre più edonista, sempre più incarnata
da una casta ancor più chiusa di quella degli indù che massacrano i cristiani in
India.

E allora capita anche che un libro mediocre come quello di
Saviano sviluppi un effetto che mai e poi mai produrrebbe in un paese della
mitteleuropa qualora andasse a investire un tema e una problematica originale
per quei Paesi, al pari di come quello della criminalità organizzata lo è  per
il nostro e per il Sud della Penisola in particolare. Se l’Italia fosse un Paese
serio, infatti, qualcuno si sarebbe alzato e avrebbe detto: bravo Saviano. Ti
ringraziamo per essere riuscito a far interessare di questa autentica piaga
sociale milioni di persone. Ma questo – dato
che la nota asserzione machiavellica, ma anche il più alto degli ideali non può
essere sotteso al supremo primato della legge, unica portatrice di libertà e di
civiltà
– non ti esime dalla responsabilità, in parte materiale, ma
soprattutto morale, di aver copiato, ben
copiato, senza, per di più, citare le fonti,
ma spacciando per
originale quella che era un’opera ben confezionata da un abile replicante.
Perché, cari miei cantori del luminoso ed eroico pensiero savianeo, volenti o
nolenti, proprio così è successo. Sturate bene le orecchie, corifei conformisti
senza palle e senza spina dorsale, buoni al più per impersonare
"lo scrutatore non votante"
della bellissima e illuminante canzone di
Samuele Bersani: a Saviano va la
riconoscenza degli uomini di buona volontà e, dato che io lo sono, anche la mia.
Ma Saviano ha copiato il compito. Lo ha copiato da giornalisti validissimi che
da anni smazzano alla grande nelle redazioni. Alcuni di loro, in cambio di
stipendi da fame, incrociano quotidianamente, nelle aule dei tribunali, lo
sguardo minaccioso dei “cortesissimi” congiunti di camorristi di ogni risma,
gente afflitta dalla tara dell’ignoranza, che vive letteralmente allo stato
brado sguazzando nei disvalori e scassandosi i timpani con i decibel dell’incultura
neomelodica. Gente che ha fatto della violenza l’unica espressione della propria
esistenza.

Aprendo il libro di Saviano, ti accorgi che ci sono dei
passaggi presi pari pari dagli articoli di questi giornalisti. C’ è molta
Rosaria Capacchione (questa
sì una persona intrisa di profonde competenze specifiche, una vera enciclopedia
della materia),
ma il saccheggio sistematico e, forse, anche sistemico,
riguarda anche gli articoli dell’ottima e instancabile Tina
Palomba e del bravissimo e denso Simone Di Meo
, che ha raccontato per
anni le vicende dei clan dalle colonne di Cronache di Napoli e che ha avuto
l’ardire, da professionista dignitoso qual è, di promuovere ai danni di Saviano
(forse questa la ragione di tanto astio?)
un’azione legale per plagio,  in
quanto si sentiva defraudato dal fatto
che Saviano non abbia mai citato il suo nome tra le fonti, se non nella
bibliografia, come per onestà avrebbe dovuto fare.

Ora, se in questa Italietta delle barzellette, “la
terra dei cachi
”, come quel genialoide di Elio, insieme alle sue Storie
tese, cantava nel 1996, qualcuno i giornali li giudicasse non partendo da uno
stolido riconoscimento dogmatico di uno che non perché sia un benemerito debba
parlare ex cathedra, come se fosse
pervaso dal crisma dell’infallibilità,
ma inaugurando l’analisi dalla necessaria premessa della loro seria profonda
lettura, che non vuol dire solo guardare le
fotografie o leggersi i titoli,
si accorgerebbe che il Corriere di
Caserta, giornale che ho diretto dal 13 gennaio
2002 al 31 marzo 2007
, ha scritto molti articoli forse imprecisi,
condizionati dalla fretta, dai carichi di lavoro spesso impossibili, ma ha anche
confezionato pagine di autentico giornalismo militante, analisi, rivelazioni che
avrebbero potuto, se correttamente assecondate da un’attenzione rigorosa e
soprattutto scevra dall’ottusità del
pregiudizio
, diventare un formidabile strumento di lavoro per gli
inquirenti nelle loro indagini e per le istituzioni, per capire, comprendere,
orientare la propria attività di coordinamento e, perché no, guardarsi dentro
con spirito autocritico, andando alla ricerca delle non poche mele marce che
hanno costituito per anni e anni (vedi il caso
Orsi)
la vera clausola di salvaguardia per i clan e per i loro affari
sempre più complessi.

Cose di cui Saviano, chissà perché,  parla poco e male,
tenendosi lontano, al di là di qualche enunciato generico, dal cuore delle
commistioni di fatto tra camorra e politica, forse per non  turbare la
digestione a quelli della Mondadori e a Marina
Berlusconi,
figlia di re Silvio,
patron della casa editrice che ha fatto di Saviano un miliardario.
E invece no. “Il nostro”, pardon, “il
vostro” si è soffermato solo su
qualche scivolone, perché lo scivolone era utile per alimentare il teorema,
facendo assurgere a virus isolato quella che è, invece,“la
cazzata delle cazzate”
di Roberto Saviano: e cioè che nella redazione
del Corriere di Caserta si annidassero le
quinte colonne della camorra
, anzi che la camorra avesse infilato i
suoi tentacoli nell’informazione, utilizzando un giornale per far passare le
proprie tesi, per celebrare il suo mito e, addirittura, per creare un canale di
comunicazione tra l’esterno e il carcere.

Ora, se è vero com’è vero che i poveri cronisti di
giudiziaria (che s’adda fa’ pe’ campa’),
costretti dalla legge violenta, vessatoria, ma inviolabile del
paginificio
(e questa è un’altra vicenda su cui potremmo
soffermarci a breve se avremo non mezz’ora, ma un’ora da buttare via a fare cose
inutili)
a scrivere dodici, tredici, a
volte anche quindici articoli al giorno
, hanno dovuto arrendersi senza
condizioni alle ricostruzioni e alle tesi degli avvocati difensori dei
camorristi, è anche vero che mai e poi mai io o gli stessi cronisti siamo stati
mossi da un intento obliquo, equivocamente trasversale.

Ve lo immaginate questo direttore montanaro,
allevato a pane e caciotte di Pietraroja,
che arriva dal Sannio severo e ancora bacchettone,
dove un avviso di garanzia per un abuso di
ufficio è notizia da prima pagina quando a Caserta per un sindaco è quasi una
benemerenza
, che si mette a capo di un’accolita di fiancheggiatori di
Zagaria, di Iovine e di uno che da queste parti chiamano Sandokan. Un vero
spasso, ma sicuramente espressione di una tesi improbabile!

Un discorso a parte, merita, poi, il bravissimo collega
(C maiuscola, e giù il cappello) Antonio
Casapulla
, che proprio cinque anni fa “punii”, assegnandogli, a
conclusione di uno scontro in redazione (non ci
capivamo, io chiacchierone e ciarliero, lui riservato come un bonzo: aveva
ragione lui!),
la responsabilità delle pagine dell’agro aversano, non
sapendo, ma intimamente sperandolo, che sarebbe diventato, forte del suo
coraggio, dei suoi valori e, forse, anche del mio modestissimo ausilio
(ti ricordi, maledetto, quanti morti a terra
abbiamo fotografato insieme!)
 la
penna più brillante e più informata nel racconto delle vicende di quelle tristi
contrade.
Ebbene, Casapulla è un militante di Rifondazione Comunista.
Ma non un militante “leggero, relativo”
senz’arte e né parte, all’acqua di rose o all’acqua pazza, che vive di  prebende
e di poltrone, come diversi ce ne sono nella "Caserta
da bere
" di questi tempi. Casapulla è un militante alla
Cipputi. Uno che quando c’è un
congresso sta sempre a sinistra della sinistra, all’opposizione della minoranza,
al punto che una volta per scherzare gli dissi che più a sinistra di un
esegeta di Lenin non c’è niente, per
cui si sarebbe dovuto accontentare di Ferrando
e dei suoi lavoratori comunisti. Bene: una delle citazioni che Saviano usa per
far funzionare il suo comico teorema è che il suddetto collega, in occasione
della visita di Fausto Bertinotti,
al tempo presidente della Camera, a Casal di
Principe, avrebbe utilizzato un’espressione che in qualche modo denunciava e
stigmatizzava le parole di Fausto contro i clan, considerandole un riprovevole
ardimento.

Ora, caro Saviano, può darsi che quel giorno Casapulla (
ci appioppammo tre o quattro pagine da fare in due, al netto una trentina di
articoli)
 sia stato infelice nella stesura di quella frase, ma se tu
fossi intriso del dieci per cento, anzi dell’un
per cento dei valori di serietà, di onestà morale, intellettuale e materiale, di
rigore inflessibile, di odio per la prevaricazione, amore filosofico per la
legalità, per la vera uguaglianza,  che hanno connotato, negli anni della mia
direzione del Corriere di Caserta, il cammino umano e professionale sempre
franco e onesto, di uno come Antonio Casapulla, 
 che alle tue orecchie,
già ampiamente imborghesite, rammollite e
rincitrullite dallo star system
, è solo un
Carneade, allora, prode Saviano,
potresti anche gratificarti della considerazione
(di cui, mi rendo conto, puoi fare benissimo a meno)
 di un asciutto
montanaro come me.  Se, caro Saviano, tu, che giri con un esercito personale di
guardie del corpo, avessi ricevuto  le minacce, a volte veramente pericolose
(a Debora Carrano, allora fidanzata, oggi
moglie, avvocato e collega, bruciarono anche un’auto comprata nuova da
pochissimi giorni)
che ha subito Casapulla, che con la sua
Punto Bianca si avviava
imprudentemente ogni mattina dalla sua Castelmorrone
(un altro mezzo montanaro, e non è un caso,
caro Saviano da Villa Literno)
per combattere la sua
silenziosa e rischiosa battaglia contro il
malaffare
, allora, forse, meriteresti l’aureola che l’ormai sedicente
intelligentia di questo Paese imbolsito dalla superficialità ti ha piantato in
testa.   Da ridere! Veramente uno spettacolo farsesco quello dei titoli dei
giornali, da lei esposti a Mantova e che di per sé, a suo avviso, caro
campionissimo della "legalità rivelata"
rappresenterebbero la prova di pruriginose connivenze, mentre calunniano e
offendono il lavoro duro, che lei non conosce e di cui parla, appunto, senza
cognizione di causa, di professionisti seri e coraggiosi.

Ma tutto sommato, il piano di Roberto Saviano è anche
comprensibile: lui ha fatto un sacco di quattrini, ma siccome è uno a cui non
piace studiare, ma copiare, ecco che, per provare ad alimentare il suo mito, 
dal suo sempre meno fornito arsenale ha tirato fuori la barzelletta ridicola, ma
sicuramente suggestiva, della camorra che essendo piovra, crea e, magari,
finanza anche organi di stampa al suo servizio. Una ben triste esibizione
pataccara, ovviamente consumata al Nord, di fronte a un sacco di persone che del
fenomeno non sanno e non capiscono un tubo e che pendono dalle labbra di Saviano
che considerano, ovviamente, un guru. Meno comprensibile, invece, è l’ acritica,
triste, trita modalità con cui alcuni giornalisti campani, quelli di Repubblica
in particolare, che di camorra dovrebbero
(?) capirne un po’ di più, hanno
commentato (si fa per dire), lo show di Saviano a Mantova. Al riguardo, in cima
alla hit della vacuità e delle imbecillità si è confermato, dagli schermi di Uno
Mattina, il direttore de Il Mattino, il “vuoto
a perdere” Mario Orfeo
, lui sì – caro
Flaiano, pace all’anima tua
–  vera incarnazione simbolica,
declinazione completa di quanto alto sia il livello del pensatoio del Belpaese
in questo momento. Colleghi pigri, indolenti, incapaci di capire, che invece di
approfondire realmente, preferiscono la scorciatoia degli slogan sterili e a
buon mercato, che andrebbero inceneriti tutti (ma
dov’è un Savonarola?)
nel "falò delle vanità" (ve
lo ricordate il film, lì c’era un giornalista ambizioso, cinico e ubriacone),

che in Italia è diventato autentico rogo.

Ora, in conclusione, ci verrebbe da dire o da interrogarci su
una cosa: ma a chi, nel mondo della comunicazione, ha giovato realmente la
camorra in questi anni? A Saviano sen’altro, che parlando e denunciando, è anche
diventato miliardario e che oggi, pur di non veder declinare il suo successo
spara insulsamente e pericolosamente nel mucchio. All’editore
del Corriere di Caserta e di Cronache di Napoli anche,
dato che, quel
giornale ha fatto del raccolto della camorra il suo
“core business”. Ai giornalisti no.
Loro non ci hanno ricavato nulla, visto che continuano a lavorare come
disperati, al di fuori delle regole dei contratti nazionali, rischiando in
proprio e guadagnando una cifra significativamente inferiore a quella introitata
di altri colleghi che lavorano in quotidiani locali di altre regioni. Ma
siccome, come qualcuno ha spesso detto nella stanza dei bottoni del Corriere di
Caserta, il loro lavoro lo potrebbe fare anche “il
guaglione del bar”, è “giusto” che continuino a sgobbare per sei giorni a
settimana, che continuino a guadagnare quello che guadagnano, per non parlare di
altre vessazioni annesse e connesse.
Ed è “giusto”, infine, per
completare l’opera, che si becchino anche l’etichetta di camorristi. Insomma, un
universo di vittime, di sfigati, che per anni hanno avuto anche la sfortuna di
stare sotto il mio comando, quello di uno "sfigato
sognatore"
, che pur se illuminato da una discreta sapienza, sempre uno
sfigato era. Ma anche gli sfigati hanno un’anima, anche gli sfigati possono
serbare dentro di sé una latenza rivoluzionaria. Giù le mani, allora, dai
giornalisti del Corriere, dai “miei” giornalisti con cui ho condiviso gioie
ingenue e innocenti, vessazioni morali e rischi mortali. Si può discutere su
alcune carenze, sull’opportunità di certi titoli, di cui mi assumo per intera la
responsabilità per quanto riguarda il periodo della mia direzione. Ma lasciate
stare i giornalisti. Giù le mani da loro. Da gente che lavora senza cercare la
vetrina. Da professionisti quasi sempre all’altezza, che si sono dovuti
rassegnare, ridotti e schiacciati dal pregiudizio diffuso all’esterno e dagli
errori di Maurizio Clemente, di chi,
cioè, quel giornale ha governato e governa anche con significativa e non comune
capacità, a essere considerati figli di un dio minore. Non sarà certo uno
scrittore radical chic, che,  con i suoi occhi scuri e penetranti come quelli di
un prestidigitatore, disegna   irrimediabilmente la china che lo conduce dritto
dritto  verso le serate di Miss Italia e verso
le copertine di D Più e di Novella 2000
, a infangare la rigorosa,
silenziosa dignità di questi ragazzi, di queste persone. E dato che la dignità
professionale e umana è l’unico grande bene che ho e hanno da difendere, spero
che anche loro, come provo a fare io da queste colonne
(per grazia di Dio e fortunatamente per le
sorti di questa terra, sempre più frequentate),
nel rispetto dei ruoli,
dei propri doveri, ma anche in una nuova considerazione dei propri diritti,
difenderanno autonomamente, senza le annose limitazioni e in una rinnovata e, si
spera, finalmente illuminata gestione editoriale,  la camicia di forza dell’eterodirezione.
Gianluigi Guarino

ps
Dovrà spiegarci, Saviano, come coniuga il saccheggio sistematico da lui compiuto
–  carta canta – degli articoli pubblicati dal Corriere di Caserta e da Cronache
di Napoli, ritenuti evidentemente tanto seri e credibili da costituire spesso
ossatura dei diversi capitoli di Gomorra, con l’accusa infamante e calunniosa
rivolta nei confronti di questi due giornali, che Saviano considera in pratica
ciarpame e immondizia. Per lei, Saviano, evidentemente, la parola idealismo fa
rima, ancor di più, con la parola opportunismo. E ora, se qualcuno si vuole
accomodare con la solita canzone della delegittimazione dell’eroe senza macchia
e senza paura, lo faccia pure. Io e noi aspettiamo a piè fermo, pronti a mettere
sul piatto le storie personali e professionali di ognuno.

(www.casertace.it)

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