Lo stesso giorno in cui il Presidente dell’antitrust, Giovanni Pitruzzella, ha attaccato il capitalismo cosiddetto di relazione alla Camera si è tenuto un convegno in cui i grandi editori italiani hanno concluso, nessun dialogo possibile, si parlavano da soli, che la soluzione per sostenere la cultura è la google tax. Non c’era bisogno di nessun convegno, seminario o giornata di studi per dire che è giusto che le società che gestiscono i motori di ricerca ed i social network devono pagare le tasse; sono multinazionali come le altre società che operano a livello globale, le tasse le devono pagare, nonostante cerchino di non farlo. Il vero fatto è che dietro questo slogan ci sta il tentativo, palese, di spostare risorse da un soggetto ad un altro, un problema solo di relazioni, anzi di capitalismo di relazione. E le nomine nel comitato di presidenza della Fieg da parte di Maurizio Costa, il nuovo presidente della Fieg, l’associazione che riunisce i grandi esponenti dell’editoria italiana, non lasciano spazio a dubbi: De Benedetti (gruppo l’Espresso); Caltagirone (Caltagirone Editore); Mario Ciancio Sanfilippo (Domenico Sanfilippo Editore); Benito Benedini (Il Sole 24 Ore); Angelo Provasoli (Rcs Mediagroup); Ernesto Mauri (Arnoldo Mondadori Editore); Andrea Monti Riffeser (Poligrafici Editoriale); John Elkann (La Stampa); Urbano Cairo (Cairo Editore). Il gotha del capitalismo italiano in quel club significa che google deve prendere seriamente in considerazione l’esigenza di pagare una tassa: non ai contribuenti, ma a loro.
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