TELEFONIA MOBILE: TASSA DI CONCESSIONE IN BILICO, SCATTANO I RIMBORSI

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La tassa di concessione governativa sui servizi di rete mobile è illegittima, se non del tutto indebita. Ciò comporta il diritto dei fruitori di contratti di telefonia mobile al rimborso da parte dell’Erario delle imposte pagate negli ultimi tre anni: si parte dalle pubbliche amministrazioni, e si potrebbe arrivare presto ai privati. Si parla, oltre che della restituzione di una cifra di non facile calcolo a cittadini, imprese e enti pubblici, della messa in discussione di un balzello che garantisce al Fisco un flusso di 750 milioni di euro all’anno. Mentre le associazioni di consumatori affilano le armi per garantire ai propri assistiti la restituzione del “maltolto”, a dirimere la questione rimangono le interpretazioni dei tribunali nazionali e europei.
Ad aprire la breccia che potrebbe portare al tracollo della tassa di concessione governativa è la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto (n. 4 – sez. XVII del 17 gennaio scorso e n. 5 – sez. I del 10 gennaio). Nel riconoscere ad alcuni comuni veneti il diritto al rimborso della tassa, la sentenza ha sottolineato come il decreto legislativo 259 del 2003 (“Codice delle Telecomunicazioni Elettroniche”) pur non abrogando esplicitamente l’imposta, di fatto la annulla. Qual è la ratio? Privatizzato nel 2003 il servizio radiomobile terrestre, viene meno il precedente principio della concessione di licenza (istituto di diritto amministrativo nel quale la res publica è in posizione privilegiata rispetto al concessionario) a favore di quello contrattualistico, dove invece le due parti agiscono in base ad un istituto di diritto privato su un piano orizzontale. Detto in altre parole: lo Stato, in fatto di telefonia mobile, dal 2003 non è più nelle condizioni di imporre una tassa di concessione.
La sentenza del tribunale regionale del Veneto non è isolata: ne è seguita una del tribunale dell’Umbria, una seconda della commissione tributaria del Veneto del marzo scorso che, divenuta esecutiva, ha permesso ad un ente locale di recuperare 60 mila euro, mentre il fascicolo di un contenzioso aperto presso il tribunale di Taranto è ora al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Fin qui le azioni legali intraprese da enti pubblici. Ma la vicenda riguarda anche i privati abbonati a servizi telefonici di rete mobile, i quali pagano 5,16 euro al mese di tassa di concessione se non 12,91 in caso di contratti business. E’ per questo che, mentre il Governo ancora tentenna sia per evitare di pagare i rimborsi che di dover accettare come decaduta l’imposta, le associazioni di consumatori (Aduc, Adoc, Adiconsum, e altri ancora) organizzano class action e forniscono moduli sui loro siti web per la richiesta di rimborsi al fine di arrivare a una sentenza pilota che apra le porte alla definitiva abrogazione.
Le associazioni non solo sono fiduciose del fatto che la sentenza della commissione tributaria del Veneto sia estendibile ai privati, ma puntano a un risultato ancora più alto: spostare il range temporale del rimborso da 3 a 10 anni. Mentre al momento si parla di “erroneo pagamento” di un’imposta, cosa che in base all’articolo 13 del dpr n. 641/1972 dà diritto al rimborso di 3 anni di versamenti, l’obiettivo delle associazioni è il riconoscimento dell'”indebito pagamento”, ovvero del fatto che il danno ai cittadini non è l’imposizione di proporzioni sbagliate, ma quella di una tassa tout court illegittima. Cosa che consente di alzare i termini del rimborso a 10 anni.

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