SOCIAL E GIORNALISMO. INTERVISTA A ANDY CARVIN

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Grazie ai social possiamo «rivolgere l’attenzione alle persone che su luoghi cruciali stanno prendendo parte allo svolgimento degli eventi e sull’importanza di raccontare le loro storie». È questa l’idea di Andy Carvin, dirigente della National Pubblic Radio (NPR), nonché punto di riferimento, tramite i suoi “profili digitali”, di tutti coloro cercano informazioni sul Medio Oriente e il Nord Africa.
Riportiamo di seguito degli stralci significativi di una sua intervista.
«Penso che i social media facciano un lavoro davvero eccellente nella copertura di eventi internazionali, fondamentalmente perché anche le più grandi organizzazioni non possono avere persone in ogni luogo allo stesso momento. Dopo lo tsunami del 26 dicembre di qualche anno fa i mezzi di informazione non disponevano di personale a tempo pieno in posti come le Maldive o le isole Andaman, cosicché avere informazioni dai citizen journalist fu fondamentale per coprire le notizie. Con l’avvento di Twitter e siti dove si possono condividere contenuti, come YouTube, è ora possibile dare uno sguardo su ogni evento che accade intorno al mondo dove ci sia un accesso a Internet. E se chiedi aiuto, sarai stupito da quante persone in questi luoghi sono disposti a darti una mano se devi scrivere qualcosa sull’accaduto».
Non mancano i lati negativi, come il coinvolgimento emotivo, spesso inevitabile quando si osservano da vicini scenari di guerra.
«Qualche volta può essere davvero dura, specialmente quando ci sono video o storie che raccontano di bambini colpiti. Ho due figli piccoli e quando vedo bambini della loro stessa età coinvolti in situazioni violente o colpiti, questo mi scuote davvero. Anche quando mi imbatto su Twitter in persone che testimoniano dal vivo di essere oggetto di violenze questo può veramente toccarmi. Tu magari ti sei fatto un’idea di cosa sta accadendo, ma quello di cui diventi testimone è talvolta ancora più chiaro di quanto avevi immaginato. Ma ora ho deciso quando è il momento di lasciare il mio portatile o l’iPhone. L’ultima cosa che voglio fare è logorarmi e rinunciare, ma non credo che questo avverrà tra breve».
Non avverrà tra breve perché è lo stesso Carvin a definirsi «dipendente dalle notizie».
Sulle modalità di ricerca dei contenuti, Carvin sembra farla facile. «Per quanto riguarda la ricerca dei contenuti è più facile di quanto si possa pensare. Facebook è stato una miniera per quel che riguarda le foto e i video così come YouTube. C’è solo bisogno di sapere dove andare a cercare».
Sulla validità delle fonti Carvin afferma che riceve spesso notizie accurate, anche se un po’ di scetticismo è d’obbligo.
E come scegliere quali storie pubblicare e quale metodo utilizzare per farlo?
«Questo criterio non è sempre lo stesso. Per esempio, se so che sta succedendo qualcosa di grosso, che la polizia comincia ad aprire il fuoco sui manifestanti, mi concentro sul cercare di avere notizie di prima mano o filmati su quanto sta accadendo in quel luogo. In quel momento, quando le persone sono arrabbiate e hanno delle forti reazioni emotive io mi limito a replicare ai loro tweet e a tessere insieme a loro gli eventi, catturando le loro storie quasi come avrebbe fatto uno storico utilizzando solo la trasmissione orale. Poi quando ho trovato qualcosa che è davvero interessante lo condivido. Ma probabilmente la cosa più importante che faccio è re-twittare le informazioni di cui sono scettico e chiedere alle persone di aiutarmi a verificarle. Ogni sorta di persone in quel momento interviene e mi aiuta a separare i fatti dalla finzione. Questo perché ho molte persone che mi seguono su Twitter, tra questi anche persone che vivono nelle aree dove stanno avvenendo i fatti o che sono esperti della materia».
Il mini messaggi di Twitter non impediscono vere e proprie narrazioni, anche se “sui generis”.
«Se si guarda a come ho lavorato sulla Tunisia si può notare che c’è un “arco narrativo”, che parte dal suicidio di Bouazizi alla fuga dal Paese da parte di Ben Ali. Ciò che intendo fare è catturare i punti salienti dell’evento e alzare la tensione mentre questi si svolgono. Ho usato Storify per archiviare il tutto. Da allora ci sono stati così tanti Paesi in rivolta nello stesso momento che ora sono concentrato sul darne notizia nel miglior modo possibile, nello stesso tempo cercando di dare sempre un volto umano a quello che sta accadendo in ciascuno di quei Paesi».
Per le “barriere” linguistiche ci sono sia i traduttori automatici che l’aiuto generoso e indispensabile dei volontari.
«È straordinario quante persone siano state generose a dedicarmi il loro tempo e la loro conoscenza. Non potrei fare quello che sto facendo senza il loro aiuto».
inoltre le relazioni digitali non impediscono la nascita di sinceri sentimenti d’affetto, anche con personalità famose.
«Mi coglie di sorpresa quando mi invia dei tweet di risposta qualcuno famoso come l’ambasciatore delle Nazioni Unite, Rice, o il giocatore dell’NFL, Chad Ochocinco. Ma la parte migliore è che i miei contatti su Twitter vogliono che io abbia successo e sono anche preoccupati per la mia salute. Sono loro a ricordarmi di andare a letto, di mangiare qualcosa e di passare del tempo con la mia famiglia. Sono loro a tenermi con i piedi per terra».
Ecco l’esempio del massimo risultato a cui può arrivare il giornalismo partecipativo.

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