SENZA UN PROFILO FACEBOOK, NIENTE MUSICA SU SPOTIFY:LA PRIVACY SOLO UN RICORDO

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Una delle partnership più promettenti su internet sceglie di esordire con un out-out e nell’era della condivisione e del libero accesso ai servizi digitali, i paletti fanno sempre storcere il naso. Ancor di più se a imporli è il social network che vanta il maggior numero di iscritti (circa 800milioni) ed uno dei programmi di download musicale più popolari negli Stati Uniti e in Europa. Secondo quanto riportato dal sito online “Allthingsdigital”, da giovedì scorso tutti i nuovi utenti del servizio offerto da Spotify dovranno avere un account Facebook per ascoltare, scaricare ed acquistare la propria musica preferita. Un unico login per un servizio integrato, in cui gli utenti condivideranno i propri ascolti, tenendo traccia permanente delle proprie preferenze. In verità l’accesso al software in questione, gratuito fino a sei mesi dal suo utilizzo, già prevedeva un meccanismo di inviti (eccetto che nel Regno Unito). In seguito gli sviluppatori di Spotify hanno optato per l’accesso libero ma con la rivoluzione annunciata durante l’F8 di San Francisco dal Team di Palo Alto, le cose sono cambiate. Poco importa se ad essere condivise con uno degli “associati” di Facebook, saranno le informazioni, i gusti e le preferenze dei profili di un social network che fattura 1,6 miliardi di dollari grazie alle inserzioni pubblicitarie e al social gaming. Ancora non si sa se la stessa prassi di accesso condizionato verrà estesa anche agli altri numerosi partner coinvolti nel restyling previsto per il 30 settembre (SoundCloud, Netflix, Zynga ne sono solo alcuni). Certo le premesse ci sono tutte. E quando si parla anche di marketing condiviso, a ben poco servirà l’allarme per la privacy lanciato dal ricercatore sulla cybersicurezza di turno, tale Nick Cubrilovic. A proposito di Facebook, sul proprio blog, l’esperto informa sul rischio di un log out (la disconnessione da un sito web o servizio) che non sospenderebbe la tracciabilità delle azioni compiute dagli utenti sul social network. Complici sarebbero proprio i “mi piace” diffusi sui vari siti web durante la navigazione non più svolta nel completo anonimato. Il problema è stato segnalato dall’esperto al team di Palo Alto a più riprese ma senza ottenere risposte puntuali.
Intanto però Mark Zuckerberg cerca di convertire alla propria fede nel business pubblicitario anche il settore delle piccole e medie imprese, circa 200mila. In collaborazione con la Camera di Commercio degli Usa e con la National Federation of Independent Business (NFIB), il team di Palo Alto attiverà dal prossimo mese un programma volto ad ampliare il numero attuale di 9,2 milioni di aziende che comprano spazi sul social network per promuovere annunci pubblicitari mirati. Il “social business” è una realtà e Facebook vuole farla da padrone.
Manuela Avino

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