RAI: POSSIBILE AUTUNNO CALDO

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Conti in rosso, collaboratori da sistemare, nomine da fare. È questa l’agenda di Viale Mazzini. Intanto il palinsesto si è impoverito. Presidente e dg pensano una ridefinizione del perimetro aziendale. Intanto 1700 collaboratori scalpitano. Limitati alle tecnostrutture i super-poteri della Tarantola. Pesano i tagli dell’ex dg, Lorenza Lei: meno risorse per informazione, audiovisivo e sport.
Sarà complicato il lavoro di Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi. I due “uomini” di Monti dovranno toccare tasti dolenti.
La tv di Stato non versa in buone condizioni, sotto tutti i punti di vista. Ai 300 milioni di debito consolidato (alcuni dicono sia peggiorato nell’ “era” Masi) si aggiunge un 2012 povero di pubblicità (i dati della Sipra evidenziano decine di milioni in meno rispetto alle aspettative). Ecco che a fine 2012 la Rai dovrebbe raccogliere 900 milioni di euro, rispetto al miliardo sperato.
Le ragioni della crisi della Rai sono tante. Ha influito anche il passaggio al digitale. Certo, la Rai ha ampliato la sua offerta, ma sono aumentati i costi e soprattutto la concorrenza. Ecco che nel piano di risanamento della Tarantola c’è l’ipotesi di cedere parte dei 14 canali. Si è parlato di vender anche Rai2. La seconda rete è in crisi da tempo. Solo la parentesi “olimpica” (Rai2 è stata la rete pubblica dei Giochi) ha fatto guadagnare fette di pubblico. Ma non può che essere un risultato effimero. Dunque se la Rai si accontentasse di 6-7 canali, di certo i costi si ridurrebbero. Inoltre si potrebbero concentrare i migliori contenuti sulle reti rimaste e fittare le frequenze in esubero. Tuttavia ci sarebbero anche dolorosi licenziamenti da fare. E i sindacati di settore, già “cronicamente nervosi”, non rimarranno a guardare.
Altra ipotesi è vendere il patrimonio immobiliare. Sembrerebbe una soluzione “neutra”, senza vittime. Tuttavia il prezzo dei palazzi storici di Viale Mazzini sono alti e i compratori scarseggiano. Bisognerebbe svenderli o cederli alla Cassa Depositi e Prestiti.
Ma non finisce qui. Nella lista delle possibili cessioni ci sono anche gli asset di RaiWay (tale decisione aleggia da tempo nell’aria e ha suscitato numerose preteste di dipendenti, sindacati e associazioni), ovvero torri, terreni e personale di manutenzione.
Poi c’è il capitolo dei dipendenti. Per ridurre il “monte ingaggi” la Tarantola vorrebbe tagliare i contratti al personale già in pensione (a tal proposito Alberto Maccari dovrebbe lasciare subito la guida del Tg1) e prevedere lo “scivolo” per quelli vicini all’uscita. Ma i problemi veri con i dipendenti sono altri: si chiamano “collaborazioni”.
In Rai ci sarebbero, a fine 2011, circa 13.313 lavoratori. Di questi 11.410 a tempo indeterminato. Gli altri 1.713 sono da ascrivere nel calderone dei contratti atipici, tra parasubordinati, consulenti (alcuni di questi anche ben pagati) e soprattutto “false” partite Iva. In poche parole la Rai utilizza il lavoro precario quasi ogni segmento della produzione e per tutto l’anno.
Precisiamo che dei 1.713, 344 sono giornalisti. Facciamo un esempio riportato da Iva Party, l’associazione che tutela i lavoratori autonomi: nella redazione di Ballarò, su 25 lavoratori, 11 avrebbero la partita Iva. Ora a complicare le cose arriva la riforma Fornero. La nuova norma afferma che sono da considerare false le partite Iva che superano gli 8 mesi di contratto presso la stessa società; dunque tali dipendenti hanno il diritto ad essere assunti. E cosa farà la Rai (che ricordiamo ha i conti in rosso)? Assumerà tutta questa gente senza battere ciglio? Oppure assumerà per brevi periodi, con le dovute pause, in modo da non arrivare a tenere un dipendente per più di 8 mesi? O ancora, potrebbe licenziare tutti quelli che non può regolarizzare.
In ogni caso i precari sono sul piede di guerra. Se la Rai mostrerà i muscoli l’ufficio legale di Viale Mazzini si ingolferà di nuove cause di lavoro. Ad oggi la Rai ne ha da risolvere ben 1.309: circa 1 per ogni 10 dipendenti. E il più delle volte la tv di Stato è costretta a soccombere: tra il 2008 e il 2010 i reintegri per sentenze o per accordi sindacali sono stati 1.121.
Dunque come si comporteranno Tarantola e Gubitosi? Useranno il pungo duro o il guanto di velluto? Entrambe le soluzioni sono di difficile gestione: la Rai non può permettersi di stabilizzare tutti i dipendenti, ma nello stesso tempo non può farne a meno.
E poi ci sono sempre le nuove nomine da fare. Ricordiamo che, nelle intenzioni originarie di Monti, la Tarantola e Gubitosi, dovevano avere carta bianca quasi su tutto. Il cda, espressione dei partiti e del Parlamento, doveva essere un mero organo consultivo. Tuttavia l’insediamento del presidente e del dg ha necessitato di accordi e compromessi. Il cda, soprattutto la quota del centrodestra, non ha voluto lasciare la guida del servizio pubblico al governo: «La Rai è competenza del Parlamento, non dell’esecutivo», hanno affermato quasi tutti i pidiellini. Ricordiamo che per insediarsi il presidente e il dg hanno bisogno rispettivamente dei due terzi della Vigilanza e della fiducia del cda. E in entrambe le assemblee è il centrodestra (blocco Pdl-Lega) ad avere la maggioranza. Ecco che si è giunti ad un compromesso. Alla Tarantola la firma per i contratti fino a 10 milioni di euro (il tetto imposto al predecessore Garimberti era di 2,5 milioni) e le nomine delle tecnostrutture. Si tratta delle nomine non editoriali. In altre parole quelle amministrative, tecniche, legali, finanziarie. Facciamo qualche esempio citando alcune nomine di competenza della Tarantola con i relativi responsabili: staff del dg con Andrea Sassano; Internal auditing con Marco Zuppi; acquisti e servizi con Gianfranco Comanducci; ICT con Giuseppe Biassoni; Risorse umane con Laciano Flussi; Sviluppo strategico con Carlo Nardello; Finanza e pianificazione con Fabio Belli; Amministrazione e finanza con Filippo Bertolino; Relazioni esterne con Guido Paglia; Relazioni istituzionali ed internazionale con Marco Simeon; Affari legali e societari con Salvatore Lo Giudice; Strategia tecnologiche con Luigi Rocchi.
Passiamo ora al cda. Il Consiglio deciderà sull’intera aera editoriale (termine quanto mai generico e ambivalente). Forse potremmo definirla area dell’informazione e dell’intrattenimento. Dunque spettano ai 9 consiglieri la nomina dei direttori di rete e dei tg. Poltrone che “scottano”, soprattutto in vista della propaganda elettorale per le prossime elezioni. Rai1, Rai2, Rai3, con i rispettivi notiziari; i canali tematici; l’area fiction e cinema potrebbero cambiare i responsabili.
E poi il palinsesto. I contenuti Rai rischiano di impoverirsi. I tagli dell’ex dg Lorenza Lei potrebbero mozzare ogni nuovo slancio creativo e competitivo. «Se la tagli non vola più; cambiamo la Rai». È stato questo lo slogan dei sindacati e dei lavoratori per le loro proteste contro il progressivo impoverimento dell’offerta. Tra il piano “Salva Rai” dell’anno scorso e la manovra-bis di quest’anno (resa necessaria dal crollo della raccolta pubblicitaria del primo trimestre del 2012), la Rai ha tagliato circa 150 milioni di euro.
Sono stati penalizzati tutti i settori: informazione, audiovisivo e sport. Diamo qualche numero. Iniziamo dai notiziari: Tg1 -200 mila euro, Tg2 -400, Tgr – 200, e infine il maxi-taglio al Tg3 (che ha fatto infuriare il direttore Bianca Belringuer) – 800 mila euro.
Passiamo ai canali tematici: -200 mila euro a Rai sport, Rai Ragazzi e Rai Educazione; Rai Fiction perde 300 milioni, la nuova direzione Intrattenimento di Giancarlo Leone scende da 3 milioni a 2,5; Rai4 di Carlo Freccero, che da sola attira il 40% della pubblicità digitale, perde 300 mila euro; lo stesso vale per Rai News; Rai5 cala da 7,8 milioni a 6,8. Inoltre le Teche Rai avranno 500 mila euro in meno e così la Radiofonia. La Produzione tv con l’Orchestra Rai si ritroveranno con un -2,5 milioni.
Pesantissimo il taglio al settore audiovisivo: sono stati tolti più di 5 milioni di euro tra Rai Cinema (che ha subito un drastico -4,8 milioni) e Rai Fiction, nonostante pare che ogni euro investito nel settore della creazione culturale ne produca 2,1. Numerose le proteste delle associazioni di categoria e dei sindacati. Questi ultimi chiesto un nuovo Contratto di Servizio 2013-2015 che rilanci l’industria dell’audiovisivo, nonché una riforma dell’attività regolamentare dell’Agcom «in relazione al monitoraggio delle quote di investimento e programmazione della fiction d’acquisto che tuteli realmente le opere europee, le produzioni indipendenti e le coproduzioni».
Non si salva neanche lo sport, anzi. Gli Europei di Calcio sono stati l’ultimo sforzo della tv di Stato. Infatti già con le Olimpiadi la copertura della Rai è stata molto limitata rispetto a ai Giochi di Pechino (si sono viste solo le gare “azzurre” e i momenti salienti, mentre Sky ha “spadroneggiato” in lungo e in largo). Addirittura la Rai ha rischiato fino a qualche settimana fa di dover chiudere anche trasmissioni come 90° Minuto, La Domenica Sportiva e Tutto il calcio minuto per minuto. La Lega chiedeva 25 milioni di euro per i diritti tv. La Rai ne offriva poco più di 14. Infatti ben due aste sono andate deserte. Alla fine l’accordo c’è stato. Per il triennio 2012-2015 la Rai ha acquistato i diritti per 14,3 milioni di euro (11,3 per la tv e 3 per la radio) riuscendo a risparmiare ben 10 milioni rispetto al costo all’ultimo triennio, in cui ne ha spesi 24. Tuttavia non è mancato un “doloroso” compromesso: non sono stati rinnovati i diritti tv pre-gara. In altre parole tra le 13,30 e le 18,15 non “non si può parlare di calcio”. Questo significa che Quelli che il calcio, non potendo dare l’esito delle partite, potrebbe anche non andare in onda. Non finisce qui. La Rai rischia di perdere anche la Coppa Italia. La nuova formula “inventata” dalla Lega è molto più veloce e accattivante e fa gola anche alla concorrenza.
Non ci resta che augurare buona fortuna alla nuova dirigenza. Probabilmente ne avrà bisogno.
Alberto De Bellis

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