La lingua italiana risente delle abitudini, dei consumi e come è per le borse, per gli abiti e per le scarpe anche le parole diventano di moda.
Anni fa era antiquato chi non adoperava il termine assolutamente per condire qualsiasi frase, positiva o negativa, ogni asserzione, includente o escludente. Insomma, era tutto assolutamente. “Ti piace il mare?”, assolutamente. “Hai comprato le banane?”, assolutamente. “Hai visto Sanremo?”, assolutamente. “Voterai quel partito”, assolutamente. Era tutto assolutamente, i conduttori televisivi ed i loro ospiti entusiasti della promozione del nuovo brand cinguettavano in coro gli assolutamente con i loro ospiti. C’era anche un lato emozionale, perché spesso la parola assolutamente non faceva comprendere se le banane erano state acquistate o no e per quale partito l’interlocutore avrebbe votato. Ma quell’assoluto diventato avverbio sembrava profondo come l’infinito di Leopardi.
Oggi assolutamente è diventato desueto, circola ancora, certo, ma non tira più, molti lo hanno messo lessicalmente in soffitta, come un paio di Superga vecchie. Oggi la parola d’ordine è resiliente. Tutto è diventato resiliente, la pasta e patate è resiliente, lo studio è resiliente, lo svago è resiliente, addirittura le leggi sono diventate resilienti, le rubriche delle norme sono resilienti che poi così bello il titolo per litigare sui social network, tanto leggere il testo non sarebbe assolutamente resiliente.
I tempi cambiano, come diceva Bob Dylan, e anche gli italiani. Pochi anni fa tutti pazzi per un avverbio, oggi per un aggettivo. Ma serve una sintesi: per essere felici si deve riuscire a coniugare il passato con il futuro, basta poco, basta essere assolutamente resilienti.
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