Una valanga di e-mail alla ex che non vuole più saperne non integra il reato di molestie. Diversamente dai messaggini inviati al telefono cellulare, infatti, le mail non hanno un carattere di “invasività”, in quanto si può scegliere se aprirle o meno. Lo ha stabilito oggi la Cassazione, sentenza 44855/2012, accogliendo, in parte, il ricorso di un 51 contro una sentenza della Corte di Appello di Milano che nel febbraio scorso lo aveva condannato per tentata violenza privata, accesso abusivo ad un sistema informatico, intercettazione di comunicazioni informatiche e telematiche ed anche per molestie.
La storia sentimentale era nata sotto i migliori auspici durante una vacanza su di una nave da crociera, dove lui lavorava come ufficiale addetto alle comunicazioni radio. Poi però qualcosa era andato storto e la relazione si era interrotta.
Ma l’uomo non si era rassegnato e aveva iniziato a molestare la donna attraverso una serie di telefonate, tentando di violare il suo indirizzo di posta elettronica, e anche il sistema informatico del gestore dell’utenza cellulare, oltre a inviarle una pioggia di e-mail.
La motivazione della sentenza
La Cassazione ha confermato tutte le condanne salvo quella per il reato di molestie per l’invio di e-mail. Secondo i giudici, infatti, va escluso che il reato di molestie «possa essere configurato – a differenza di quanto si verifica nel caso dei c.d. s.m.s. inviati su utenze telefoniche mobili -, qualora si tratti di messaggi di posta elettronica, privi, in quanto tali, del carattere di invasività». Per la Suprema corte «il fatto non è previsto dalla legge come reato».
Manuela Montella
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