Qualcosa si muove, pure in Italia: il dibattito, almeno quello, sulla web tax per tutelare il diritto d’informazione: a lanciare una pietra nello stagno del tema più scottante, di cui però si cerca di parlare il meno possibile, è stato Antonio Marano presidente di Confindustria Radio Televisioni. Che, al Corriere della Sera, svela tutti i suoi dubbi sull’architettura del sistema dell’informazione oggi. In Italia così come nel resto del mondo: “Il timore che venga meno il rispetto di uno degli articoli fondamentali della nostra Costituzione: il 21, che tutela la libertà di espressione. L’articolo 21, secondo i costituenti tutela i mezzi di comunicazione come strumenti di pluralismo e democrazia. L’attività degli editori è per questo pesantemente normata in modo da assicurare il pluralismo delle fonti, l’obiettività, la completezza, la correttezza, il rispetto della dignità umana”. Marano aggiunge: “Ora però il mondo dell’editoria, non solo quello radiotv che rappresento, da sempre tra i motori di crescita del Paese, rischia di non poter continuare a svolgere la propria fondamentale missione perché ci sono soggetti che hanno invaso il mercato in spregio delle regole”. Cosa è successo? Semplice, alcuni sono troppo grandi e fanno, semplicemente, come più gli aggrada. “Gli operatori Over the top (Ott) che non devono sostenere i costi per la produzione dei contenuti offerti al pubblico, poiché sfruttano quelli generati da altri. Inoltre hanno un vantaggio concorrenziale enorme, grazie alla profilazione on line, che si aggiunge alla disponibilità di capitali considerevoli e a obblighi regolamentari generalmente più leggeri. Infine i ricavi di questa attività per lo più non rimangono nel nostro Paese. Con una metafora potrei dire che questi operatori viaggiano in autostrada senza pagare né il pedaggio né la benzina”. Tutto troppo facile. “Per fare un esempio vedono nel caso della stampa (quotidiani e periodici) una spesa pubblicitaria passata da 1,4 miliardi di euro nel 2013 a 585 milioni nel 2024, con una contrazione del 60%. Nello stesso periodo gli investimenti pubblicitari degli Ott sono cresciuti del 9,4%, arrivando a 3,7 miliardi. Senza dire che negli ultimi 12 anni il numero di imprese della comunicazione è calato di quasi un quarto”, continua Marano. Si pone, dunque, la domanda delle cento pistole. La solita, se vi pare: che fare? L’idea di Marano è sempre quella: la web tax: “Esiste già una Digital service tax sui ricavi derivanti dalla fornitura di servizi digitali, in continuità con il Digital taxation package dell’Ue, che lo scorso anno ha generato introiti per 455 milioni in Italia. Riteniamo che una parte di questo gettito debba essere destinato a riequilibrare il sistema attraverso un contributo a tutta l’editoria”. Ma non basta perché “l’attuale sistema imbriglia solo gli operatori tradizionali e lascia impuniti i produttori di fake news. Il legislatore, ma anche l’Autorità per le Comunicazioni, dovrebbero poter intervenire in tempo reale per smussare questa asimmetria, agevolando la produzione di contenuti su tutto il territorio, valorizzando il made in Italy, per esempio. Ma anche responsabilizzando i divulgatori di fake news , come sta avvenendo nel Regno Unito, dove si sta anche pensando a un prelievo sugli streaming forniti dalle grandi piattaforme”.
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