L’abnorme concentrazione del sistema dell’informazione in Italia ha dato luogo ad un duopolio televisivo ed alla mostruosità di un conflitto di interessi che resta senza paragoni nel mondo civile (e forse anche in quello incivile). Introdotto nel ’90 dalla legge Mammì come una foglia di fico per ratificare il fatto compiuto e coprire la vergogna della concentrazione televisiva privata, il divieto di cumulo fra giornali e tv non è mai stato in realtà un divieto assoluto. Fin dall’inizio, si applicava in questi termini solo a chi, come il gruppo del Biscione, deteneva e continua a detenere tre concessioni nazionali, prevedendo invece limiti progressivi per gli operatori con una o due reti.
Per dire quanto il divieto sia stato cogente ed efficace, fu proprio in base a quel provvedimento che Berlusconi Silvio venne costretto a ” cedere” la proprietà del Giornale di famiglia a Berlusconi Paolo. È stata poi nel 2004 la malfamata legge Gasparri a fissare la scadenza del divieto al 31 dicembre scorso, prorogata in seguito al 31 marzo prossimo con la possibilità per la presidenza del Consiglio di prorogarla ulteriormente fino al termine dell’anno.
Nel frattempo, è saltato però l’emendamento al cosiddetto decreto “Milleproroghe” che – in virtù dei principi antitrust e anche in considerazione del passaggio al digitale terrestre – applicava la normativa oltre i tetti dell’8% del Sic (Sistema integrato delle comunicazioni) o del 40% sui ricavi complessivi delle comunicazioni elettroniche: a parte Rai e Mediaset, quindi, anche a Sky (9,7% del Sic) e aTelecom (50% dell’intero settore). Ciò significa, in pratica, che a fine mese il governo potrebbe lasciar decadere definitivamente il divieto, favorendo l’azienda privata del premier.
(LA REPUBBLICA)
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