L’inserto che trovate oggi in edicola con il giornale parla di un «noi». Dice che non siamo soli e non vogliamo esserlo. Non un’ultima trincea o un orgoglioso solitario baluardo, ma parte di un mondo, di una possibile alleanza, di una battaglia che riguarda direttamente molti e indirettamente la libertà di tutti.
Il «noi» che oggi rivendichiamo è quello dei produttori indipendenti di cultura, che lavorino con la scrittura, con l’immagine, o con il suono. E che lo fanno in autonomia, fuori dalle grandi concentrazioni editoriali e dalla protezione dei potentati politici e istituzionali.
«Libere imprese» nel senso più proprio e meno «economicistico» del termine. Libere dal condizionamento imposto dai parametri di profitto propri della grande industria, libere dall’obbligo di assecondare e fiancheggiare gli assetti di potere consolidati. Libere, ma costrette a cimentarsi in un mercato che libero non è affatto, piegato, come è, agli interessi dei monopoli e delle concentrazioni economiche e finanziarie, distorto, quello della stampa innanzi tutto, dall’insidiosa leva della pubblicità, da regole e barriere che ostacolano in ogni modo l’affacciarsi di nuovi soggetti (visibili e autosufficienti) sulla scena della produzione culturale.
Inoltre, in un paese come il nostro, in cui tutto è assistito, in cui il «privato» non è che l’ideologia che maschera l’accaparramento di pubblico denaro e pubbliche risorse (e che ora, con il pretesto della crisi, non ci si sente neanche più in obbligo di mascherare) è proprio il mondo delle produzioni indipendenti, sono i luoghi dove si sperimenta e si innova, a subire tagli e continui esami di efficienza.
Così, secondo i desiderata del governo, la revisione dei contributi per l’editoria e i loro regolamenti, oltre a garantire i grandi gruppi editoriali che di quelle provvigioni divorano la gran parte, dovrebbero anche dare una mano ulteriore agli organi di partito e alle cooperative fantasma dietro le quali si celano cordate e cordatine politiche ed economiche.
Il potere aiuta sempre se stesso. E lascia annegare con soddisfazione, a suon di tagli che colpiscono il cinema, il teatro l’editoria indipendente, chi non si allinea, chi non rende soldi e favori a sufficienza. Sulle pagine di questo inserto abbiamo chiamato a raccolta i produttori indipendenti di cultura (alcuni, è solo un primo passo verso una più vasta alleanza), a far sentire la propria voce, a mostrare il senso e la passione del proprio lavoro, la natura e gli scopi di una scelta di autonomia. La retorica dominante vuole che, quando si parla di cultura, «siamo tutti sulla stessa barca».Ebbene non è così, noi non siamo sulla stessa barca del Corriere della sera, come l’editoria indipendente non è su quella di Mondadori e il cinema indipendente su quella delle multinazionali dello spettacolo. E’ una scelta di campo, questa, che riguarda anche autori, spettatori, lettori, ascoltatori. E’ una battaglia per la libertà e per non morire, oltre che di tagli, di noia. (Dalla rassegna stampa ccestudio.it)
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