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LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI E LIMITI DEONTOLOGICI DEI GIORNALISTI

Domani alla Camera riparte la legge che apporta modifiche al codice di procedura penale con il fine di limitare l’uso e la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. L’alibi del Governo, ogni volta che si ripresenta il ddl, è quello di limitare la gogna mediatica e la violazione della privacy cui vengono sottoposti personaggi politici e non, quando sui giornali vengono pubblicate le intercettazioni telefoniche. La libertà d’informazione è però un principio cardine della nostra Costituzione ed è alla base di chi fa giornalismo. Esistono, dunque, dei limiti oltre i quali un giornalista non può spingersi? Certamente sì. Limiti ben evidenziati da precisi principi deontologici per la cui violazione si va incontro a diversi tipi di sanzioni. La competenza per il giudizio disciplinare appartiene al Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti presso il quale, colui che ha deliberatamente infranto le regole stabilite dall’Ordine e da un’apposita ‘Carta dei Doveri del Giornalista’, sottoscritta dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, possa ricevere la sanzione che gli spetta, a seconda del danno che ha arrecato.
L’azione può essere avviata d’ufficio dal competente Consiglio o su richiesta del Procuratore Generale.
Le sanzioni disciplinari sono le seguenti:
AVVERTIMENTO: rilievo della mancanza commessa e richiamo del giornalista all’osservanza dei suoi doveri;
CENSURA: biasimo formale per la trasgressione accertata;
SOSPENSIONE: non inferiore ai 2 mesi e non superiore a 1 anno, nei casi di compromissione della dignità professionale;
RADIAZIONE: nei casi in cui la dignità professionale viene compromessa al punto da rendere incompatibile la presenza dell’iscritto nell’albo.
Tornando alle intercettazioni, per Franco Siddi, segretario della Fnsi (Federazione della stampa italiana) queste «esistono perché la magistratura ha individuato comportamenti o episodi illeciti che meritano di essere accertati e chiariti. E quando gli atti giudiziari esistono e sono distribuiti alle parti in causa (come è accaduto per quasi tutte le intercettazioni pubblicate in queste settimane, consegnate addirittura in Parlamento e comunque ai difensori degli accusati) è evidente che la stampa deve darne notizia. È un dovere primario dei giornalisti, altrimenti farebbero un altro mestiere».
L’opinione di Siddi coincide con le motivazioni che il Corriere della sera, il 17 settembre, esponeva pubblicando le intercettazioni e altri documenti non più “coperti dal segreto”. Così il quotidiano, in un corsivo: «Abbiamo scelto di divulgarle in base al diritto-dovere di cronaca. Siamo consapevoli che le telefonate, in alcuni passaggi, mettono a rischio la privacy delle persone coinvolte: ma la decisione opposta, non pubblicarle, diventerebbe una forma di autocensura e di copertura e impedirebbe ai lettori di conoscere fatti e comportamenti rilevanti sul piano della politica e del costume». Anche Fini, a Mirabello, l’11 settembre, aveva difeso le intercettazioni: «Rabbrividisco all’idea che dopo la manovra, l’emergenza nazionale sia la legge sulle intercettazioni. È disgustoso leggerle sui giornali, ma è ancora più disgustoso dar vita a certi comportamenti».
Non resta che aspettare l’esito dell’ennesima discussione parlamentare sul ddl. Intanto la piazza si mobilita e si dà appuntamento per domani al Pantheon dalle 15 alle 18.
Giuseppina Valerio

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