L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha inviato una segnalazione al Governo per riformare la disciplina in tema di comunicazione politica e di accesso ai mezzi di informazione. La necessità di riformare la legge n. 28 del 2000 è pacificamente riconosciuta da tutte le parti politiche, ma alla fine nessuno sceglie di occuparsene.
La ragione è semplice, così è molto comodo per i leader dei partiti; una legge che tuteli il pluralismo per la comunicazione politica è come le preferenze, creerebbe contendibilità. Ve bene, quindi, una vecchia disciplina fortemente e inutilmente voluta dal centro sinistra per contrastare l’ascesa politica di Silvio Berlusconi all’inizio del nuovo secolo.
Lacci e lacciuoli, burocrazia, regole e sanzioni rappresentano materia di elezione per un certo tipo di sinistra. L’obiettivo, corretto, di garantire a tutti i movimenti politici parità di accesso ai mezzi di comunicazione si è trasformato infatti in una inutile ridda di delibere, regolamenti, codici, comunicati pubblicati sui giornali e mandati in onda su televisioni locali e radio locali di rara inefficacia. Ma andava bene così, ed è continuato ad andare bene anche quando sono arrivati i social network e la politica si è disintermediata dai classici mezzi di comunicazione.
Durante i giorni di silenzio elettorale, rigorosamente applicato ai giornali, sommessamente alle televisioni ed alle radio, i social vengono puntualmente inondati di tweet e post a dimostrazione che quando la forma non è sostanza diventa un liquido in cui sommergere il pluralismo, tanto a pochi importa.
L’auspicio è che il Governo accetti la segnalazione dell’Autorità come un importante momento di riflessione politica da sottoporre all’attenzione del dibattito politico e del Parlamento e non come l’ennesima scartoffia da spicciare. Perché per quelle va bene la vecchia legge sulla par condicio.
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