La Corte di giustizia europea ha dichiarato contraria ai principi della concorrenza la norma della legge Gasparri che prevede il divieto di partecipare per gli operatori delle telecomunicazioni ad altre società che operano nel settore delle comunicazioni. Questa sentenza mette in evidenza le contraddizioni della legislazione italiana in materia. La legge 3 maggio 2004, n. 112 è frutto di una mediazione volta a chiudere una lunga stagione che nasce da un errore di visione di parte della politica italiana: ritenere un’esigenza strategica per il Paese ridurre le quote di mercato di Mediaset. Il nemico era lui, Berlusconi, il caimano, e le sue aziende erano un problema per il Paese: da un lato la magistratura con inchieste pressanti e costanti, da ogni indagine nasceva un filone d’indagine, cercava di mettere in difficoltà la galassia del biscione. E dall’altro gli oppositori politici con norme ad personam costringevano Mediaset a ridurre le proprie quote di mercato, a limitare il raggio di azione. E così mentre la rete infrastrutturale delle telecomunicazioni italiane veniva svenduta, Mediaset era costretta a rinunciare ad una presenza organica nell’editoria, ad entrare nel settore delle telecomunicazioni, addirittura ad uscire dal segmento della pay tv di cui era stata pioniere. All’Italia, o meglio ad una parte della politica italiana, faceva paura un’azienda italiana. E mentre questo accadeva qui, negli altri Paesi la sfida globale andava avanti e tutti gli Stati cercavano di rafforzare le proprie aziende in modo da garantirgli competitività in un contesto globale. La legge Gasparri con poco coraggio salvò le capre ed i cavoli, frenando l’espansione di Mediaset in altri settori e consentendole di poter continuare ad avere la propria significativa quota di mercato nel settore dell’emittenza radiotelevisiva italiana. Ma intanto le mire di diversificazione internazionale dell’azienda di Berlusconi in Spagna, in Francia, erano compromesse dalle difficoltà sul mercato italiano. Mercato su cui iniziavano a venire nuovi oligopolisti, il gruppo Murdoch, e poi i giganti di Internet, tutti salutati come i nuovi paladini delle libertà contro il tiranno di Arcore. Ora la Corte di giustizia europea dice che quelle norme che impediscono oggi ad una società francese di entrare nel capitale di una società italiana non sono legittime. Ma la cosa incredibile è che quelle norme furono pensate per evitare ad una società italiana di entrare nel capitale di una società italiana. In Italia, il problema non è la libertà di stabilimento, ma la libertà di impresa; soprattutto se il proprietario di quell’impresa non è gradito ad una parte politica ed alla magistratura, che è la parte politica più influente del Paese.
Marina Pisacane
L’Agcom ha fornito la solidarietà a La Stampa dopo gli attacchi alla redazione di una…
Mediaset trascina l’intelligenza artificiale in tribunale. La prima causa italiana di un editore contro l’Ai.…
Quando un editore italiano compra libri, giornali o periodici dall’estero, l’IVA non si applica sempre…
Allo scopo di garantire il rispetto del pluralismo, della libertà di espressione, della diversità culturale…
Girano le poltrone nel gruppo Cairo: Alberto Braggio è il nuovo amministratore delegato di La7.…
In attesa che finalmente l’Italia recepisca in pieno il Regolamento European media freedom act, la…