Radio Radicale rischia di chiudere. E’ in discussione il rinnovo della convenzione tra lo Stato e l’emittente di Pannella, del valore di 10 milioni annui, per la trasmissione dei lavori parlamentari.
Il problema è che l’attività svolta da Radio Radicale è, da molti anni, duplicata da una rete pubblica: RAI GR Parlamento che asserisce di riuscire a svolgere il suo compito con solo 1 milione e 200mila euro anni (con 20 redattori assunti con contratto giornalistico). Tra gli atti del Senato è stata pubblicata l’interrogazione avanzata da Alessio Butti (PDL) al Ministro dello Sviluppo Economico, che si domanda se non sia opportuno revocare al più presto la convenzione tra il Ministero delle comunicazioni e il Centro di produzione Spa, titolare dell’emittente Radio radicale e se non si ritenga sufficiente la presenza del quarto canale radiofonico della RAI per la trasmissione delle sedute parlamentari ed i relativi approfondimenti.
C’è da chiedersi, come mai venne costituita una rete assolutamente inutile (perché il compito già lo svolgeva egregiamente Radio Radicale) con milioni di euro degli italiani spesi per acquistare dai privati frequenze spesso disastrate senza una strategia di pianificazione. Perché i cittadini, da oltre dieci anni, continuano a pagare, da una parte, il servizio offerto da GR Parlamento e, dall’altra, a sovvenzionare Radio Radicale.
In un periodo di crisi come quello attuale, che sta costringendo il Governo a fare pesanti tagli in tutti i Ministeri e, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica, non si capisce perché, la possibilità di seguire i “lavori parlamentari” non possa essere considerata soddisfatta attraverso la già presente diffusione video satellitare (che pure ha un costo a carico degli italiani) e integrata soltanto da un servizio di videostreaming su Internet.
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