IL POTERE DELL’INNOVAZIONE TECNOLOGICA

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Da una parte ci sono le regioni «virtuose» in cui dati su economia, sanità, turismo sono accessibili e pubblicati online. Dall’altra c’è Bruxelles che spinge verso gli obiettivi futuristici del piano Europa 2020. In mezzo l’Italia, che vorrebbe trasformare l’indirizzo di posta certificata (PEC) in un vero «domicilio» già da gennaio ma deve fare i conti con problemi di banda larga e digital divide. Un rompicapo su cui istituzioni e imprese si sono confrontate all’Internet Governance Forum di sabato a Torino, e che rivela le diverse velocità di un Paese che ancora fatica a fare sistema. Dove l’innovazione può aiutare a girar pagina sulla politica macchiata dagli scandali. Erano passate poche ore dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legge «Crescita 2.0» ― quello sulla tanto attesa Agenda digitale italiana ―, quando i rappresentanti dei ministeri, quelli dell’Unione europea e gli amministratori locali sono intervenuti al Forum. Lo scopo del confronto: cercare una formula per coordinare le frammentate politiche sull’innovazione tecnologica. «Il piano europeo prevede la creazione di un mercato unico digitale, l’alfabetizzazione informatica e l’accesso a Internet», ha spiegato Franck Boissière, responsabile e-Commerce della Commissione Ue, «ma è contro un’omogeneizzazione forzata». Bruxelles fissa gli standard da raggiungere, però ogni governo decide da solo se e come sviluppare le proprie infrastrutture, quali processi di informatizzazione sono più adatti e come devono interagire pubblico e privato. Modelli diversi che vanno però verso una stessa direzione. «Ogni anno facciamo incontrare gli attori principali dei governi per vedere quali progressi sono stati fatti a livello nazionale e regionale rispetto agli obiettivi europei», ha continuato Boissière. «Il nuovo portale serve proprio a monitorare questi risultati». Il Miur ha ideato un sistema diretto per ricevere feedback e spunti dai cittadini: consultazioni pubbliche a cui tutti possono partecipare online. «Abbiamo creato un modello. La prima consultazione, lanciata un mese fa, si chiuderà il 1 novembre e riguarda la governance di Internet», ha chiarito il ministro dell’Istruzione Profumo. «Da pochi giorni è partita quella sul futuro dell’innovazione in Italia, legata sia al programma europeo di ricerca Horizon 2020 che alle nostre specializzazioni regionali».«Quello che finora mancava era una “visione digitale del Paese”», ha affermato Mario Calderini, uno dei «padri» dell’Agenda digitale e consigliere del ministro Profumo. La visione adesso c’è ed è nata dal coinvolgimento di realtà diverse, anche locali. «Aver tenuto conto delle loro opinioni durante la stesura del testo faciliterà la sua attuazione», hanno spiegato al Corriere gli innovatori under 40 che affiancano il ministro. «È stato un processo partecipato fino all’ultimo». Il decreto riunisce aspetti che vanno dalle start-up ai documenti digitali unificati, ai biglietti di viaggio elettronici. «Dobbiamo fissare una scala di priorità, mettendo al primo posto i bisogni dei cittadini», ha sostenuto Calderini dal palco. «Ci hanno obiettato, per esempio, che i mobile ticket creerebbero problemi, che per colpa loro lo status delle società dei trasporti andrebbe rivisto… Ma se l’acquisto via cellulare rende più facile prendere i mezzi pubblici, allora dobbiamo lavorarci. Contano le persone, il resto è secondario». L’Agenzia per l’Italia digitale, che assorbe le funzioni di tre enti pubblici preesistenti (compresa la DigitPA), diventerà il nuovo punto di riferimento nazionale per lo sviluppo di Internet. Molte le sfide aperte, come la diffusione della banda larga e il digital divide tra generazioni. E mentre si attende nelle prossime settimane la nomina del suo direttore generale, Calderini lancia una provocazione: «Questo dirigente avrà un organico adeguato? Lavorerà con 50 persone davvero preparate o continueremo con una visione ipergarantista?». Il messaggio è chiaro: non è più tempo di riciclare dipendenti senza competenze, bisogna guardare al merito e all’efficienza. Se le politiche statali sul digitale hanno subito un’accelerazione solo negli ultimi mesi, tra regioni e comuni si registrano da anni esempi di eccellenza. È il caso del Piemonte, pioniere degli Open Data in Italia, che ha creato leggi ad hoc anche su wi-fi libero e piattaforme open source. Oppure della Regione Lombardia, che con il Miur ha finanziato l’adozione di eBook e tablet per 25mila studenti delle superiori. Ci sono poi città che hanno puntato sul digitale per comunicare in modo più trasparente con i cittadini e crearsi un volto nuovo dopo i guai con la giustizia. «A Bologna, reduce da un commissariamento, abbiamo scelto di usare blog, social network e procedure partecipate per riavvicinare i cittadini alla politica», ha raccontato Michele d’Alena, referente per l’Agenda digitale comunale. «Un nostro assessore, Matteo Lepore, ha pubblicato online i costi dei suoi spostamenti. L’hanno chiamato “l’anti-Fiorito”, perché ha speso 4.500 euro su un budget di 20mila. Siamo riusciti a riconquistare la fiducia della gente». Un’idea che le regioni travolte dagli ultimi scandali potrebbero copiare.
Manuela Montella

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