Il ministro dei Beni culturali rilancia la proposta di abolire gli spot da una rete televisiva pubblica.
E ,stavolta, riceve un aperto elogio dal Moige-Movimento Italiano Genitori- e una lode condizionata da Articolo 21, che si limita ad apprezzare lo sforzo di riaprire il dibattito sulla qualità dei palinsesti.
A tre mesi di distanza dalla prima esortazione in tal senso, lanciata con una lettera aperta al giornale La Repubblica, Sandro Bondi ridefinisce la sua idea nel corso di una intervista a Klaus Davi:
“Credo che il tema della pubblicità sulle reti pubbliche – osserva – vada affrontato anche in Italia. Non è un caso se il governo francese di centrodestra e il governo spagnolo di centrosinistra hanno preso un’unica decisione: quella di togliere la pubblicità’ in un canale televisivo pubblico da una certa ora in poi. Proprio per questo ho inviato una lettera ai ministri della Cultura francese e spagnolo per invitarli in Italia a discutere su questo punto”.
Rispetto alla precedente dichiarazione, il giudizio del ministro sulla identità della rete svincolata dall’auditel è più sfumato.
“Una rete del genere- scriveva lo scorso 5 marzo a La Repubblica- non potrebbe che avere tra i suoi contenuti precipui, quelli della cultura e del patrimonio culturale che contraddistingue nel mondo l’Italia. Ovviamente, ne sono consapevole, fare cultura in televisione non significa solo mostrare i musei, parlare di libri, trasmettere musica classica. Significa anche fare della buona televisione, ma tutti sappiamo che fare una televisione intelligente necessita di un impegno maggiore che fare una televisione stupida. Una rete svincolata dall’auditel permetterebbe quindi di sperimentare nuovi linguaggi e nuovi format e consentirebbe a maggior ragione la messa in onda di temi ignorati come quelli della cultura, che solo negli aridi palinsesti della tv italiana sono considerati meno proficui dell’intrattenimento, spesso inutilmente volgare.”
La proposta era stato bocciata da due esponenti del C.D.A. della Rai, Giovanna Bianchi Clerici e Nino Rizzo Nervo, con la motivazione sostanziale che il passaggio al sistema digitale terrestre e la relativa moltiplicazione dei canali favorita dalla nuova piattaforma avrebbe reso inutile destinare una rete alla Cultura.
Al coro dei dissensi si univa il direttore di RaiTre, Paolo Ruffini, che obiettava: “Credo che l’idea di affidare ad una sola delle reti Rai il compito di fare ‘vero servizio pubblico’ sia non solo antica ma anche rischiosa. Cosa farebbero le altre reti Rai? Una tv commerciale? Quanto all’Auditel, o allo share, la domanda da porsi è: si può fare un vero servizio pubblico se non c’è il pubblico? È evidente, invece, che con l’avvento del digitale, che moltiplicherà i canali Rai, sarà possibile avere non solo una ma anche più reti dedicate, più pubblici di nicchia. E mantenere un’offerta generalista, plurale e pluralista, senza la quale il servizio pubblico perderebbe la sua ragione d’essere”.
Nel corso dell’intervista a Klaus Davi, per il canale di video on line Klauscondicio, Bondi non “detta” in modo esplicito la programmazione della Rete senza spot. Si limita a sottolineare la funzione della tv di servizio pubblico.
“La tv pubblica – afferma- non deve trasmettere solo reality. La televisione, soprattutto quella pubblica, deve fare altro. Come ha detto Franceschini, lo cito perché sono d’accordo con lui su questo punto, la Rai deve formare e informare e purtroppo la televisione pubblica oggi abdica quasi totalmente a questo compito. Bisogna riequilibrare le cose. Certo il problema dell’auditel è un grande impaccio lungo questa strada, perché gioca a favore delle trasmissioni più commerciali”.
L’appello del ministro suscita il solito vespaio di critiche tra i dirigenti della Rai e gli addetti ai lavori, ma stavolta trova un estimatore nel Moige.
“L’idea lanciata dal ministro Bondi su una televisione pubblica libera dagli spot pubblicitari è positiva- afferma Elisabetta Scala, responsabile dell’Osservatorio Media del Moige- è necessario che la televisione cresca sotto questo punto di vista, liberandosi dalla ricerca spasmodica della quantità, un fattore che troppo spesso devia i palinsesti verso l’abisso del cattivo gusto. E’ importante che la televisione, soprattutto la tv pubblica per il cui servizio le famiglie pagano un canone annuale, inizi partecipare alla crescita culturale e sociale della collettività, offrendo una programmazione qualitativamente valida. La qualità dell’offerta televisiva per la quale il Moige attraverso l’Osservatorio Media lotta da anni, attualmente sembra essere solo un miraggio. Auspichiamo possa divenire una visibile realtà”.
Per Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, “il dibattito è serio, sono convinto che il sistema ha bisogno di una scossa e di recuperare attenzione nei confronti dei temi della produzione culturale , ma se vogliamo che la discussione sia credibile bisogna sgomberare il campo dal conflitto di interessi e dal sospetto che i soldi persi dalla rete pubblica vadano all’unico concorrente sopravvissuto”.
E’ possibilista invece Davide Caparini della Lega, segretario della commissione di Vigilanza Rai, che ritiene arduo portare la Rai fuori dall’attuale “logica di mercato”. In ogni caso, aggiunge, “la proposta del ministro, magari sulla scorta dell’esperienza analoga fatta in Francia e Spagna, su una parte del palinsesto sarebbe realizzabile tramite il contratto di servizio”.
Non sostiene il ministro, infine, il vice presidente della Vigilanza, Giorgio Merlo del Partito Democratico, che polemizza con Bondi sul tema più attuale delle elezioni europee:
“Mi spiace deludere il ministro Bondi- afferma- ma togliere pubblicità alla Rai o a qualche sua rete è l’ultimo problema del servizio pubblico. Parlando di tv, sarebbe più opportuno richiedere una maggiore attenzione al tema del rispetto delle regole dell’informazione del servizio pubblico e privato in campagna elettorale ma il rispetto delle regole in campagna elettorale pare non interessare affatto Bondi, attento solo al ruolo della pubblicità”. (9 colonne)