HASKI SPIEGA PERCHÉ HA VENDUTO IL SITO DI NEWS RUE89

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È partito in vacanza a cuor leggero, Pierre Haski. Il presidente di Rue89, giornale francese nato nel 2007, pioniere dell’informazione online indipendente, ha deciso di concedersi una villeggiatura natalizia al mare, tra Grasse e Nizza.
Dopo tante tensioni se la merita: ha la «coscienza a posto» per aver salvato il web magazine, la sua «barchetta in preda alla tempesta». E, indirettamente, per aver dato una nuova lezione all’industria dei media: l’integrazione tra carta e internet è possibile.
Il gruppo del Nouvel Observateur, il settimanale parigino progressista, ha infatti acquistato il sito, che conta 2 milioni di lettori al mese, per una cifra che si aggira intorno ai 7,5 milioni di euro. Sui numeri non ci sono certezze, ma Haski non smentisce e attende la firma del contratto, il 31 dicembre 2011.
Un buon colpo per gli azionisti: rispetto alla valutazione fatta a giugno (5,8 milioni), il plusvalore è di 1,7 milioni di euro. Certo, l’avventura imprenditoriale di Haski, già vicedirettore del quotidiano Libération, è destinata a cambiare, e così l’informazione di cui è paladino.
Inserito in una grande gruppo, Rue89 non sarà più il minuscolo giornale indipendente che ha fatto i miracoli. E, con ogni probabilità, nemmeno gratuito.
DOMANDA. Haski, dopo aver creduto nel modello dell’informazione indipendente e gratis, perché ha venduto?
RISPOSTA. Perché essere i primi in quel mercato ci è stato in parte fatale: abbiamo sì avuto un grande successo editoriale, che ci ha portato a competere con i giganti dell’informazione, ma ci siamo scontrati con l’assenza di un modello di business sul web.
D. Problemi di denaro, dunque?
R. Da quando abbiamo fondato il sito nel 2007, la Francia ha affrontato due recessioni. All’inizio non avevamo investitori e zero capitale. Da tre anni il nostro fatturato è sufficiente per sopravvivere, ma non per crescere: è difficile passare dallo start up all’impresa vera e propria.
D. Rue89 ha accumulato un deficit di 400 mila euro per il 2011. Cosa non ha funzionato?
R. L’aspetto editoriale è cresciuto in maniera sproporzionata rispetto a quello economico, ci siamo sentiti troppo fragili per poter continuare in quel modo. Paradossalmente, siamo vittime del nostro successo.
D. Cioè?

R. Nel 2007 non pensavamo neppure lontanamente di competere con Le Monde o Le Figaro. Abbiamo invece avuto un enorme successo e contemporaneamente gli altri si sono svegliati: anche i siti dei grandi giornali hanno aperto al giornalismo partecipativo, al live blogging e alle piattaforme per i blog dei lettori.

D. E vi hanno fregati?

R. Non è facile tenere il passo: sul mercato della pubblicità, chi è troppo piccolo non ha scampo. Con appena 25 giornalisti, siamo in concorrenza con chi ne ha centinaia. Era necessario investire, creare applicazioni per i cellulari o l’iPad, assumere nuove persone. Ma non era più possibile.

D. Qualche azionista si è arrabbiato?

R. No, si sono tutti fidati della decisione presa. Non c’è stata neppure una voce contraria, anche tra coloro che avrebbero preferito che Rue89 restasse autonomo. Tutti hanno compreso quanto sia difficile l’attuale situazione economica.

D. Perché avete scelto il gruppo del Nouvel Observateur?

R. Tutti gli azionisti erano d’accordo. Quello di Claude Perdriel è un gruppo indipendente, legato all’industria sanitaria e che non ha nulla a che vedere con lo Stato. Abbiamo fatto un accordo con persone che hanno grande credibilità, con cui mi sento perfettamente a mio agio.

D. Come cambierà Rue89?

R. Restiamo un’azienda autonoma con gli stessi dirigenti e la stessa redazione. L’indipendenza editoriale non cambierà di una virgola. Le raccolte pubblicitarie saranno invece gestite dal Nouvel Observateur e ogni anno discuteremo con loro del budget a disposizione.

D. Assunzioni in vista?

R. Il primo gesto di Perdriel è stato accordare un aumento del 10% degli stipendi e l’assunzione di 4-5 nuovi giornalisti.

D. Altri vantaggi?

R. Quelli di un gruppo che ha grandi mezzi finanziari. Se un domani vorremo lanciarci negli ebook o sviluppare la nostra presenza sui tablet, sarà finalmente possibile. Potremo correre dei rischi che prima non potevamo permetterci, perché eravamo una barchetta in preda alla tempesta.

D. Resta la rinuncia al sogno imprenditoriale. È così facile digerirla?

R. Naturalmente no. Nel progetto Rue89 c’erano due dimensioni: quella giornalistica e quella imprenditoriale. Volevamo trovare un modello di business alternativo, lontano dai colossi industriali che controllano i media del Paese. Non ci siamo riusciti, ma l’aspetto giornalistico è salvo.

D. Crede ancora che il futuro dell’informazione sia sul web?

R. C’è spazio per i siti d’informazione tematici, altamente specializzati in un settore, in grado di innovare. E ora nascono sempre più siti locali. Noi abbiamo lanciato Rue89-Lione e Rue89-Strasburgo.

D. Qual è il modello di business del futuro?

R. Il modello per ora non esiste, ma credo che si tornerà giocoforza al prodotto a pagamento. Il New York Times fa pagare i lettori più fedeli: potrebbe essere esportabile in Europa

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