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CASO EUROPA7, KROES: “PROCEDURA INFRAZIONE UE ANCORA APERTA”

Il commissario europeo alla Concorrenza, Neelie Kroes, “conferma che è ancora aperta” la procedura d’infrazione aperta contro l’Italia per l’assegnazione delle frequenze radio Tv durante la transizione al digitale terrestre, operata con la Legge Gasparri. Kroes lo ha detto nella sua risposta, inviata oggi, a un’interrogazione scritta di alcuni eurodeputati italiani di centro sinistra sul caso Centro Europa7.
Il commissario, tuttavia, sembra anche considerare che l’Italia abbia finalmente dato esecuzione alla parallela sentenza del 31 gennaio 2008 con cui la Corte europea di Giustizia aveva dato ragione a Europa7, l’emittente di Francesco di Stefano che aveva vinto nel 1999 la concessione per trasmettere su tutto il territorio nazionale, ma non aveva mai avuto materialmente dallo Stato le frequenze per farlo.
“La Commissione – dice Kroes nella sua risposta agli eurodeputati – osserva che le autorità italiane hanno di recente annunciato l’intenzione di applicare la sentenza della Corte, assegnando le frequenze a Centro Europa7. Per quanto a conoscenza della Commissione, l’11 dicembre 2008 le autorità italiane hanno adottato un provvedimento nazionale che assegna concretamente tali frequenze a Centro Europa7”. Tuttavia, avverte il commissario alla Concorrenza, “la Commissione continuerà a vigilare sulla situazione”.
Quanto alla procedura d’infrazione “ancora aperta”, sotto accusa è la norma della Legge Gasparri che aveva prolungato fino alla data dello ‘switch-off’ (passaggio al digitale) “le autorizzazioni per continuare le trasmissioni analogiche terrestri da parte di operatori che non hanno ottenuto la concessione delle frequenze”. In sostanza, secondo l’Antitrust Ue era stato attribuito a questi operatori “un chiaro vantaggio, a danno di altre imprese, in particolare di quelle che, come Europa7, hanno una concessione analogica ma non possono fornire servizi di trasmissioni analogiche terrestri per mancanza di frequenze”. La Commissione aveva aperto la procedura con una lettera di messa in mora all’Italia del luglio 2006, inviando poi a Roma, dopo un intervallo insolitamente lungo (un anno invece degli usuali due mesi) un ‘parere motivato’ il 19 luglio 2007. Un anno e mezzo dopo, la procedura è ancora ferma (anche se “aperta”). Nei casi ‘normali’, se lo Stato membro destinatario di un parere motivato non risponde entro pochi mesi modificando le norme sotto accusa, la Commissione adisce la Corte europea di Giustizia.

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