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Boomerang spending rewiew. Imprese e cittadini con le “gambe” all’aria

Ci sono spending review e spending review. Quando si tratta di servizi il taglio è, come si dice, lineare, prendiamo l’assistenza sanitaria, per esempio: in molte regioni se vuoi fare un esame diagnostico lo puoi fare per nove mesi all’anno, se ti ammali da ottobre a dicembre il ritardo è a carico tuo. Poi ci stanno i tagli intelligenti, prendiamo la Rai per esempio. Lo Stato taglia 150 mni alla Rai, mette sul mercato la società con gli asset maggiori, le frequenze e dà il buon esempio, o almeno sembra, perché così non è; infatti subito dopo prevede che la lotta all’evasione del canone debba avvenire in maniera scientifica, con addebito sulle bollette dell’energia elettrica. Un prelievo alla fonte, che raddoppia, triplica il canone, perché lo si scollega dalle persone e lo si collega alle utenze elettriche, lo si paga a prescindere dalla televisione che si vede o non si vede. Tanto valgono le presunzioni, tu, cittadino, dotato di iphone, ipad, smartphone, tablet, portatile non mi venire a menar il can per l’aia che senza apparecchio la Rai non la vedi. E così con un colpo di mano, nelle tasche della gente, la soluzione è bella che trovata. Lo Stato riduce il finanziamento alla Rai che fa numeri nella riduzione della spesa pubblica, passando il testimone alla spesa dei privati che sono gli stessi che pagano le tasse, e per i quali che li prendi di quà o li prendi di là è la stessa cosa. Ma attenzione questa tecnica non è nuova nell’ambito delle spending review. Un esempio sono le Autorità indipendenti, prendete quella per la concorrenza e per il mercato o quella per l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. I costi di queste amministrazioni una volta erano a carico dello Stato, con trasferimenti diretti da parte del bilancio del pubblico. Tagliare è una necessità e, quindi, si è deciso che queste amministrazioni dovessero vivere di risorse proprie: come? Introducendo un contributo a carico delle imprese per il funzionamento delle Autorità. Ora che lo si voglia chiamar contributo, canone, imposta o tassa, il discorso è sempre lo stesso, il privato paga per far funzionare il pubblico. Ora non si discute sulla funzione di importanti istituzioni dello Stato italiano; ma dell’ipocrisia che sta dietro il maquillage della riduzione della spesa pubblica.

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