Nulla da fare. Si sono rivelati infruttuosi i tentativi di migliaia di utenti di connettersi al sito della popolare testata britannica “The Guardian”, risultato di fatto irraggiungibile da diverse ore in Cina. Secondo quanto riferito all’agenzia Reuters da Hua Chunying, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, le Autorità di Pechino non sarebbero a conoscenza di questo disguido che nulla avrebbe in comune con la censura. Il problema è comunque di competenza del Dipartimento dell’informazione.
Intanto i tecnici della News & Media stanno monitorando l’estensione del blocco e, come dichiarato attraverso un loro portavoce, si spera che si tratti di un “fermo” solo parziale e che quindi, sia possibile ripristinare il servizio al più presto.
Nonostante il tono cauto e rassicurante delle dichiarazioni della Chunying, molti ipotizzano che il vero motivo dell’improvviso black out si celi nel contenuto di un articolo, pubblicato due giorni fa, sul The Guardian in cui si faceva chiaro riferimento agli scontri sociali esplosi in Cina nella regione dello Xinjiang, guidati da alcuni dissidenti politici.
L’ipotesi troverebbe conferma nel fatto che esistono già precedenti che hanno indotto, in passato, il governo cinese a bloccare alcuni siti web ritenuti “politicamente pericolosi”.
Nel 2012, ad esempio, il portale di Bloomberg e del New York Times finirono in “stand by” per un’inchiesta su alcuni potenti uomini politici che avevano accumulato grandi ricchezze e, più recentemente, a novembre dello scorso anno, la stessa cosa è accaduta ai siti in lingua cinese della Reuters e del Wall Street Journal.
Insomma: la storia si è ripetuta? La Cina oscura chi non si allinea?
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