Il dibattito sui limiti della libertà di espressione in rete, scatenatosi all’indomani dell’aggressione al premier Silvio Berlusconi, induce Avvenire a ricordare che “interventi casuali e mirati” di “censura”, ad esempio nei confronti di “siti negazionisti o neonazisti o inneggianti all’odio razziale” sono sì “giustificabili” ma che questa “rinuncia deliberata al principio sacro della libertà di espressione”, “se estesa e incontrollata”, “ci porta fatalmente a quelle nazioni – come Cuba, la Cina, la Corea del Nord, l’Iran, la Libia, la Siria – che imbrigliano e inibiscono a tal punto la navigazione su Internet da renderla quasi impossibile”.
Per il quotidiano dei vescovi, nel caso della rete e dei suoi eccessi, si “potrebbe e forse dovrebbe” ricorrere al “codice penale, così come accade per la stampa”. Si tratta, per Avvenire, dello “stesso crinale che separa in buona sostanza la democrazia dall’anarchia, ma la cui delicatezza è somma e il cui maneggio abbisogna di grande cura e altrettanta saggezza, giuridica e politica. Altrimenti è l’arbitrio”.
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