AUDIZIONE DI PAOLO ROMANI SU QUESTIONI ATTINENTI IL SETTORE DELLE COMUNICAZIONI (Testo)

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Riportiamo il testo del resoconto stenografico dell’Audizione del sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, tenutasi il 17 luglio scorso, presso la Camera dei Deputati e il conseguente intervento dell’ex Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni.

CAMERA DEI DEPUTATI – XVI LEGISLATURA

Commissioni riunite VII (Cultura, scienza e istruzione) – IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) e 8a (Lavori pubblici, comunicazioni del Senato della Repubblica)

Audizione del Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Paolo Romani, su questioni attinenti il settore delle comunicazioni.

PAOLO ROMANI
Ho preparato una relazione purtroppo lunghissima, di cui leggerò le parti fondamentali, ma che può essere messa in distribuzione. La relazione è composta di tre parti con riferimento alle tre competenze dell’ex Ministero: quindi TLC, televisione e Poste.
Inizio con l’innovazione nelle telecomunicazioni. Le sfide che ci attendono nel campo delle comunicazioni elettroniche per i prossimi anni sono decisive per permettere all’Italia di mantenere quella dignità geopolitica che la storia le riconosce. O avremo reti di comunicazione veramente all’avanguardia e competitive, oppure non saremo; o riusciremo a mantenere sviluppo, ricerca e investimenti all’avanguardia, oppure passeremo da snodo tecnologico, economico e culturale fondamentale a semplice linea di passaggio.
Quello della comunicazioni, infatti, è un propellente di sviluppo non solo per l’economia, ma per l’intelligenza di un Paese, per la salvaguardia delle proprie capacità di essere flessibile, veloce e moderno, per la sua capacità di dare risposte allo sviluppo del sistema delle infrastrutture tecnologiche del nostro Paese, che vogliamo dare presto e bene, come già stiamo facendo.
Le TLC hanno conosciuto un grande sviluppo nell’ultimo decennio, a seguito dell’evoluzione tecnologica e del processo di liberalizzazione e apertura alla concorrenza che, sotto la guida attenta dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha stimolato un circolo virtuoso per imprese e consumatori, raggiungendo risultati importanti che hanno ripercussioni di grande rilevanza sociale e costituiscono un motore per lo sviluppo produttivo del Paese. Si stima, infatti, per il solo sviluppo della banda larga un moltiplicatore di crescita del PIL pari a 1,5-2 punti percentuali, che salirebbero ulteriormente con la realizzazione di infrastrutture di rete di nuovissima generazione.
Mi soffermerò in particolare sulla rete di telefonia fissa, insostituibile spina dorsale del Paese. Tralascio il settore della telefonia mobile, in cui opera un mercato molto più competitivo, fatto di reti proprietarie concorrenti, dove il grimaldello di mercato risiede anche nella capacità dell’operatore di avere una rete sempre più aggiornata. Si tratta, dunque, di un mercato che si autoalimenta per ciò che concerne sviluppo della rete, competizione e avanguardia tecnologica, come dimostrano i dati. Oggi l’Italia è uno dei mercati più liberalizzati d’Europa, il quinto mercato al mondo nelle telecomunicazioni in termini di fatturato pro capite e il secondo per quanto riguarda i servizi voce della telefonia mobile. Quest’ultima colloca l’Italia ai vertici della classifica mondiale in termini di percentuale di penetrazione (per ogni italiano ci sono 1,4 telefonini). Siamo inoltre il primo Paese in Europa come numero di utenze mobili di terza generazione (17 milioni di utenti UMTS) e il secondo al mondo dopo il Giappone.
Nell’ultimo anno, inoltre, abbiamo visto nascere nuovi operatori mobili virtuali: PosteMobile, Coop, Conad e alcuni operatori di rete fissa, che, garantendo al consumatore una scelta più ampia in termini di offerta economica e di servizi, possono vantare oltre 500.000 clienti in pochi mesi.
La rete di telefonia fissa rimane fondamentale asse strategico, che necessita di essere maggiormente stimolato nel suo sviluppo. La concorrenza infrastrutturale si è sviluppata in un ambito piuttosto limitato. Il local-loop unbundling ha dato discreti risultati di sviluppo di altre reti rispetto a quella dell’ex monopolista, ma non nella misura che ci si aspettava e non nell’accesso. Almeno per i prossimi dieci anni la rete in rame non sarà sostituita se non parzialmente dalle reti di nuova generazione, l’NGN dalla fibra. Proprio per questo un Governo lungimirante deve saper guardare, aspirare e agire affinché i tempi di sviluppo tecnologico della rete si accorcino e diventino più realistici.
La forte competizione ha sollecitato gli operatori di telecomunicazioni del fisso alla ricerca di nuove strategie di crescita, per attenuare le perdite di ricavi nel loro core business. In particolare, il mercato registra una notevole spinta innovativa, una richiesta di ampliamento della capacità di banda delle reti esistenti, quindi dell’NGN, le reti di nuova generazione, ovvero la fibra ottica portata sino alle case dei cittadini. I limiti tecnici delle reti attuali hanno condotto gli operatori di quasi tutto il mondo, che operano in un ambito di concorrenza evoluta, a un rinnovato interesse per nuove infrastrutture a larghissima banda. Si tratta quindi di quelle capaci di capacità trasmissiva superiore ai 20 Mb al secondo, perché lo scopo è quello di supportare nuovi servizi integrati: voce, video (da YouTube alla televisione), grande quantità di dati, always on degli utenti.
In Italia, però, le prestazioni tipicamente offerte dalla banda larga sono carenti, come sottolineato anche dall’ultimo rapporto OCSE. Con 15,9 connessioni a banda larga ogni 100 abitanti su una media dell’Europa a 27 Stati del 18,2, l’Italia si colloca al ventunesimo posto della classifica, che vede ai primi posti in termini di penetrazione la Danimarca con 34, i Paesi Bassi con 33, la Svizzera con 30, come evidenziato dalla tabella.
L’Italia paga lo scotto della mancanza di infrastrutture alternative all’ADSL e il rapporto sottolinea quanto segue: «Nel nostro Paese non esistono connessioni via cavo, che rappresentano invece il 12,7 per cento del totale dei Paesi Bassi, il 9 per cento in Danimarca, l’11 per cento negli Stati Uniti, mentre la penetrazione della fibra ottica è ferma allo 0,4 per cento contro il 4,7 per cento della Svezia e percentuali più alte per Giappone e Corea».
La tabella successiva mostra come nel 2007 la penetrazione della banda larga sia aumentata nel nostro Paese del 2,73 per cento, su una media OCSE del 3,75 per cento. Paesi come la Finlandia, la Germania e la Svezia dimostrano infatti una capacità di crescita almeno doppia. Nella tabella, dunque, il quadrante nord-orientale è quello virtuoso. Il nostro punto di partenza è quindi svantaggiato rispetto agli altri Paesi più industrializzati sui tre importanti indici: il tasso di penetrazione della banda larga, il tasso di incremento di questa penetrazione e lo sviluppo della rete in fibra. Di fronte a questi dati, il Governo vuole quindi accettare una sfida per superare il digital divide. Il futuro è oggi. Se non riusciremo a cogliere le opportunità di ogni tipo di offerta dalla banda larghissima delle nuove reti, rischieremo di essere tagliati fuori dal resto del mondo, dalla possibilità di essere integrati, di fare innovazione, di essere all’avanguardia, di difendere e potenziare le nostre capacità e le nostre virtù.
Qualunque sia il modello di business vincente, esso avrà comunque bisogno di grandi capacità trasmissive. Le reti NGN garantiranno la convergenza di tutte le reti sul protocollo Internet, ponendo i protagonisti del mondo ICT di fronte a nuove sfide, a beneficio dei cittadini che si sentiranno parte della società dell’informazione. Fra le nuove opportunità offerte ci sono servizi per le aziende e le pubbliche amministrazioni, quali scaricare modulistica, inviare documenti, sfruttare la medicina, ottimizzare il traffico automobilistico, controllare e limitare gli accessi nei centri storici, gestire i parcheggi e via dicendo. Si tratta dunque di una società dell’innovazione completamente trasformata.
Un altro problema è rappresentato dal passaggio del segnale video. La Cisco System evidenzia che già oggi un 30 per cento del traffico è di tipo video contro il 5 per cento del 2005, e immagina che per il 2012 il traffico sarà costituito per il 50 per cento da immagini in movimento.
In Italia, la copertura intesa come percentuale di linee telefoniche abilitate alla larga banda è caratterizzata da una marcata disomogeneità della velocità di accesso alla rete, non solo fra le regioni, ma anche al loro interno e persino dentro i singoli comuni. Si tratta di un problema del Paese. Talvolta ad Abbiategrasso c’è meno banda larga di quanto ci possa essere nel meridione d’Italia. Per avere un quadro analitico, abbiamo deciso di istituire una task force per la banda larga, che avrà anche il compito di effettuare una veloce e puntuale ricognizione della situazione.
Abbiamo diverse generazioni di banda larga. La prima, quella dell’ADSL, arriva fino a 2 Mb; la seconda, che riguarda anche il mobile, fino a 7 Mb; la terza fino a 20 Mb e la quarta, quella ottica, che entra nelle case, la NGN, che si progetta oggi in Giappone e in Corea, arriva anche oltre a 100.
Siamo nell’evoluzione tecnologica definitiva già sulla quarta generazione, ma da noi esiste ancora un gap sulla prima. Secondo i dati comunicati da Telecom Italia, che possiede la quasi totalità della rete di accesso, gli interventi necessari a colmare il digital divide della prima generazione, fino a 2 Mb, che permettano a quasi tutta la popolazione di esser raggiunta dalla ADSL e già pianificati, hanno come traguardo il 2010, attrezzando con dispositivi a banda larga 9.700 delle 10.400 centrali esistenti, ovvero il 98,5 per cento delle centrali. Esiste dunque un problema, ma Telecom sembra essersi impegnata a procedere con questo tipo di investimento. La differenza è miniDSlam o DSlam. Si tratta di un’operazione che garantisce all’utente e alle aziende il raggiungimento della banda larga solo fino ai 2 mega.
Nel 2010 le esigenze saranno altre. Vediamo invece direttamente cosa sta accadendo sulle reti di quarta generazione, le nuove reti in fibra, nostro obiettivo strategico. La stessa Telecom Italia ha comunicato ufficialmente che i suoi piani di investimento prevedono che per il 2016 il 65 per cento del mercato dell’accesso sarà raggiunto dalle reti di nuova generazione. Il 65 per cento delle attuali linee delle case degli italiani sarà raggiunto dalla fibra ottica.
Nel 2016, avendo come riferimento solo la rete d’accesso oggi e in futuro disponibile, la copertura sarà limitata solo alle zone più remunerative. Buona parte del Paese non avrà la fibra ottica, che invece gran parte del mondo sta già utilizzando. Da questo dato si evince che numerose aree, non solo quelle a fallimento di mercato (market failure), saranno senza la banda larghissima di quarta generazione. Anche questo è un dato importante sul quale riflettere. L’azione del Governo effettuerà quindi ogni sforzo per favorire il raggiungimento da parte dell’intero sistema di mercato della più ampia e veloce diffusione delle energie in Italia.
Il digital divide è delegato all’indisponibilità di infrastrutture a banda larga e deriva da una molteplice serie di fattori. Abbiamo immaginato molte aree con il problema del fallimento di mercato, su cui dobbiamo intervenire indirettamente. In questo senso sono stati indirizzati gli interventi attuativi già pianificati e realizzati da Infratel, che oggi non dobbiamo disperdere, ma valorizzare. Le infrastrutture di rete già realizzate da Infratel sulla base del primo intervento attuativo hanno reso disponibili circa 1.200 chilometri di nuova fibra nelle regioni del Mezzogiorno del Paese, ma sono già stati pianificati altri interventi da realizzare nelle regioni del centro nord, sulla base di specifici accordi di programma stipulati in collaborazione con le regioni, che si sono dimostrate molto disponibili. Alcuni accordi di programma con le regioni erano già stati raggiunti, mentre ne sigleremo altri con le regioni sollecite verso questo problema. In futuro l’intervento di Infratel potrà anche concentrarsi nelle aree a divario digitale di prima generazione e nel contempo nell’aumentare la possibilità di introduzione dell’NGN ricorrendo anche a tecnologie wireless.
Nel nostro Paese c’è sempre stato il problema della capacità e possibilità di installare la fibra, cui il Governo ha già dato risposta con il decreto n. 112 del 2008, attualmente in fase di conversione. In questo testo, infatti, si risponde alle indicazioni che il mercato e l’Autorità avevano individuato come decisivi per lo sviluppo della banda larga e larghissima nel Paese, ai tempi lunghi e incerti per il rilascio delle autorizzazioni e concessioni da parte delle amministrazioni locali, nonché ai vari oneri amministrativi a carico degli operatori. All’articolo 2, infatti, il Governo ha definito un intervento organico, che va dalla semplificazione della disciplina generale della concessione dei diritti di passaggio, abolendo qualunque diritto speciale esclusivo, sino alla previsione delle opportune modifiche al Codice civile, che favoriscano la posa di cavi e di infrastrutture avanzate di comunicazione all’interno dei condomini, anche attraverso specifiche agevolazioni tributarie. Vi ricordo che esisteva la follia per cui occorreva un terzo dei condòmini per installare un’antenna sul tetto, ma due terzi per consentire l’accesso della fibra. L’intervento individuato prevede anche l’istituzione di un regime agevolato per l’utilizzo del suolo pubblico, che non ostacoli gli investimenti in rete a banda larga, prevedendo nelle aree sottoutilizzate la gratuità per un congruo periodo di tempo dell’utilizzo del suolo pubblico.
Nel successivo disegno di legge, prossimamente in discussione alle Camere, si cercherà di introdurre tecniche di finanza di progetto, nella logica auspicata dalla Commissione europea delle public-private partnership, che con una dotazione di 800 milioni di euro per il periodo quinquennale 2007-2013 applicherà un modello innovativo di stimolo e sostegno alla capacità del mercato di sviluppare interventi infrastrutturali sulla banda larga e larghissima, in particolare a favore delle zone in digital divide. Il modello è quello del project financing su gara e per reti aperte. Ogni euro che il Governo investirà sarà sulla base di progetti giudicati più virtuosi per lo sviluppo della banda larga e permetterà di favorire tutti quegli operatori intenzionati seriamente a investire in progetti di questo tipo. I princìpi che saranno alla base di questo DDL saranno la gara aperta, l’accesso facilitato in modalità wholesale (all’ingrosso), effetti sui fornitori e sugli operatori di infrastrutture esistenti, distorsioni di concorrenza ed effetti sugli scambi limitati per rendere positivo il bilancio globale, limitazione della discrezionalità a livello tariffario, neutralità tecnologica, eventuale previsione di un meccanismo di recupero degli utili in eccesso (clawback).
Passiamo adesso alla parte relativa al processo di digitalizzazione televisiva: oltre 300.000 ricevitori digitali venduti; oltre 6 milioni di famiglie che utilizzano abitualmente la piattaforma digitale terrestre; un nuovo canale generalista della RAI, RAI 4, dedicato ai giovani, lanciato tre giorni fa in esclusiva sul digitale; superata per la prima volta la soglia del 5 per cento di utilizzo medio quotidiano del digitale terrestre, secondo i dati Auditel; 2 milioni di telefonate giunte in una sola settimana al call center dell’offerta Mediaset premium; 17 domande di editori internazionali, nazionali e locali presentate alle autorità per utilizzare il 40 per cento della banda trasmissiva degli operatori che daranno vita a dieci nuovi canali nazionali. Questo è avvenuto solamente nell’ultimo mese. Questi sono gli indicatori dello stato di salute del digitale terrestre in Italia, per cui, come in ogni grande Paese europeo, da materia di disputa politica, il mercato e le esigenze degli utenti e degli operatori hanno finalmente preso il sopravvento e determinato che la grande rivoluzione, che sta attraversando in tutta Europa la tv generalista, sia più forte di ogni discussione accademica – o peggio – di ogni contrapposizione politica.
Il senso del presente contributo è quello di illustrare a queste Commissioni le dinamiche di mercato e le evoluzioni che la televisione sta affrontando, in assoluta consonanza con quanto avviene in Europa, affinché il Parlamento possa conoscerle e sostenerle, anche realizzando interventi che garantiscano al nostro Paese maggiore competitività e concorrenza, ma soprattutto migliori servizi e offerte agli utenti e alla collettività.
È opportuno innanzitutto illustrare lo stato dell’arte della televisione digitale terrestre, per fornire tutti gli elementi necessari. Tutti conoscete l’offerta tradizionale analogica, ovvero la televisione cui siamo abituati, quella che tutti gli italiani guardano per quasi quattro ore al giorno. Si tratta di nove canali nazionali, oltre a qualche rete minore, nonché numerose emittenti locali, alcune di buona qualità, altre meno, che rappresentano il grosso dell’offerta generalista, che raccoglie circa il 90 per cento dell’audience giornaliero. Anche il satellite, che pure è cresciuto, deve gran parte del suo ascolto al fatto che gli utenti guardano le reti tradizionali tramite Sky.
Nel giro di alcuni mesi, questo panorama è destinato a trasformarsi completamente. Già oggi 6 milioni di famiglie abitualmente utilizzatrici del digitale terrestre possono accedere a 28 canali nazionali, con una triplicazione. RAI 4, i programmi per bambini RAI Gulp e Boing, la rete di cinema Iris, la nuova RAI sport più, Sport Italia, ma anche Repubblica tv sono solo alcuni degli esempi più significativi dei canali gratuiti offerti in esclusiva sul digitale terrestre e già oggi accessibili a tutti gli utenti.
A questa si affiancano l’offerta pay costruita da Mediaset e da Telecom Italia Media, che rappresenta un’alternativa importante per l’utente rispetto all’offerta pay tradizionale costruita su un modello alternativo a quello finora conosciuto. Se fino a ieri pay tv significava un’offerta molto ricca e importante per coloro che potevano economicamente permettersela, da oggi significa anche possibilità di visione di contenuti di pregio (calcio, cinema, Disney) attraverso modalità e condizioni accessibili a tutti.
Le tv locali, che hanno svolto un fondamentale ruolo nel nostro Paese in chiave pluralista e di diversificazione dell’offerta, già oggi operano con decine di multiplex digitali e domani si troveranno di fronte alla sfida di fare dei contenuti locali uno dei punti forti dell’offerta digitale.
Con il progressivo switch off delle aree e con la cessione del 40 per cento, la prospettiva è quella di un’offerta destinata ad aumentare aggiungendo decine di canali nazionali generalisti e non, di operatori tradizionali e non, che innoveranno profondamente il concetto della tv generalista, quell’offerta dedicata a tutti, cui siamo abituati nella nostra fruizione quotidiana. Vale la pena rilevare, nei confronti di tutti coloro che ritengono il digitale terrestre un mero pretesto per la prosecuzione dell’esistente, che solo attraverso tale innovazione è stato ed è possibile che ben tre nuovi operatori nazionali (H3G, il gruppo Tarak Ben Ammar e il gruppo Espresso) diventassero protagonisti a pieno titolo di tale offerta, a dimostrazione di un sistema aperto a tutti coloro che sono disponibili a investire e a entrare nel sistema televisivo.
Aggiungo un’ultima considerazione relativa alla cessione del 40 per cento, che l’Autorità sta gestendo e di cui forse si è sottovalutata la portata fortemente innovativa. La legge n. 66 del 2001 del Governo Amato stabilì che, per fare di tale innovazione un’occasione in cui venissero aperte opportunità aggiuntive a nuovi editori, i tradizionali soggetti cedessero il 40 per cento dei propri spazi trasmissivi a soggetti dipendenti. Dopo un’applicazione iniziale di tale normativa, l’Autorità ha stabilito le regole per una gara su progetti editoriali. Neanche un mese fa le domande pervenute all’Autorità sono state 25 da parte di 18 diverse imprese soprattutto di livello internazionale (e spiace dirlo), come Disney, Universal, la svedese Airplus, SPN, l’inglese Top Up Tv, l’americana KBC. Vi sono inoltre alcuni editori di tv locali come Tele Lombardia e Antenna 3 Nordest, nonché altri editori nazionali come Sitcom, Class Editori, Coming Soon, Sat 2000. Fra i nuovi soggetti nazionali vi sono inoltre Infront Italy, Archimede e il consorzio Alphabet per un’offerta di tipo educativo e formativo.
Entro l’agosto 2008 la commissione dell’Autorità determinerà la graduatoria ed entro la fine dell’anno almeno dieci nuovi canali nazionali prenderanno il via. Tale innovazione cambierà e integrerà profondamente l’offerta televisiva, rappresentando una misura di apertura del sistema, la più avanzata in Europa. Credo che, dopo essersi intrattenuta in una sorta di guerra dei trent’anni sul livello di pluralismo, la televisione italiana sia ormai sulla buona strada.
Come rileva la GFK, il primo istituto europeo di rilevazione sui consumi familiari, i ricevitori digitali terrestri acquistati in Italia hanno raggiunto a maggio 2008 la quota di 8,6 milioni, di cui 6,2 milioni rappresentati da decoder esterni e 2,3 milioni da televisori con sintonizzatore digitale terrestre integrato. Una banale proiezione degli attuali andamenti di mercato porta a 4 milioni la stima dei ricevitori venduti quest’anno, superando così già a fine 2008 la soglia dei 10 milioni di ricevitori terrestri venduti sul mercato italiano. Sicuramente l’inserimento del ricevitore digitale nei televisori ha attivato un processo irreversibile.
Vediamo adesso il consumo della televisione tramite il digitale terrestre. La ricerca Macno sulla tv digitale evidenzia infatti che alla fine di maggio il numero delle famiglie TDT (Tv digitale terrestre), in possesso cioè di almeno un ricevitore, è salito fino a 5.912.000, con una crescita netta di circa 130.000 unità rispetto ad aprile (+2,2 per cento). Fra aprile e maggio di quest’anno, il numero dei ricevitori TDT presente nelle famiglie è salito da 6.288.000 a 6.427.000, con una crescita mensile pari a 140.000 unità. La differenza di circa il 20 per cento fra apparati venduti e diffusione dipende dal fatto che molti hanno apparati obsoleti o doppi televisori.
Rimane però una verifica di quanto potrà accadere da ora al 2012. Una proiezione evidenzia che con l’attuale ritmo di diffusione pari a 300.000 ricevitori al mese, ritmo fisiologico e non determinato da operazioni straordinarie, con circa 4 milioni di ricevitori all’anno, entro il 2012 avremo ampiamente raggiunto l’universalità delle famiglie italiane.
Nel giugno 2008 l’utilizzo della piattaforma digitale, ovvero l’ascolto tramite decoder digitale terrestre, ha superato per la prima volta il 5 per cento. Il 5,1 per cento del complessivo consumo di televisione di giugno è infatti passato attraverso i decoder digitali terrestri, con una crescita superiore al 100 per cento rispetto al mese di giugno dell’anno scorso.
È necessario però considerare che in merito all’utilizzo della medesima piattaforma da parte delle famiglie residenti nelle aree più avanzate o nelle aree all digital c’è stato uno stimolo, perché in Sardegna e Valle d’Aosta si è anticipato il passaggio in esclusiva al digitale terrestre di due reti (Rai2 e Rete4) con quello che abbiamo chiamato switch over. Nella tabella dell’utilizzo è indicato il confronto tra le audience share. In Sardegna, nel mese di giugno il 61 per cento della popolazione ha visto la televisione tramite il decoder digitale terrestre o satellitare, quindi in forma digitale.
Per quanto riguarda le scelte industriali, il nostro Paese è spesso afflitto dalla caratteristica della propria sottovalutazione, così in settori ad alto contenuto di sviluppo tecnologico spesso gli altri Paesi sono più avanti e non rimane che rincorrerli. Questo invece è uno dei casi in cui dovremmo essere orgogliosi delle scelte operate e collaborare per sostenerle. Il nostro Paese ha infatti introdotto per primo in Europa l’offerta di televisioni di mobilità, il cosiddetto DBWH, e ha sperimentato per primo le trasmissioni in alta definizione sul digitale terrestre. Ha inoltre promosso una modalità di accesso assolutamente innovativa (contenuti premium) attraverso una nuova forma di pay per view e di pay-tv, che ha consentito finora di assistere a film, calcio, serie televisive a milioni di persone che finora vedevano precluse tali possibilità. L’introduzione di smart card leggibili attraverso i decoder è un’innovazione a cui molti Paesi europei stanno pensando. L’Italia è l’unico Paese nel quale la maggioranza del ricevitore (l’82 per cento) è dotata di modem e supporta applicazione in HP. Questa è una caratteristica fondamentale del profilo italiano, che è stata spesso derisa da alcuni detrattori, ma che ci viene invidiata da tutti i Paesi e dai loro principali operatori, perché consente uno sviluppo dell’applicazione e una crescita della piattaforma.
Nella tabellina successiva sono indicati i decoder MHP (quelli cosiddetti «intelligenti»), gli zapper (quelli cosiddetti «stupidi», fortunatamente in percentuale minima) e i TV integrati, che contengono entrambe le qualità, per una penetrazione complessiva entro la fine di quest’anno di 10.800 decoder.
Il modello Sardegna è importante perché è stato citato nella legge recentemente approvata e quindi è un protocollo che può essere utilizzato nelle altre regioni. In Europa si dibatte sulla modalità attraverso cui realizzare il passaggio dall’analogico televisivo al digitale, raggiungendo le migliori opportunità per gli utenti, per gli operatori e per il complesso industriale del Paese. Mentre Regno Unito, Francia e Spagna stanno ancora sperimentando in piccole comunità tale processo, dalle 15.000 alle 30.000 unità, in Italia ci si è invece posti un obiettivo assai più ambizioso: portare interamente in digitale nei prossimi quattro mesi 1.600.000 individui, ovvero la regione Sardegna. Tale processo, assai avanzato e di prossima conclusione, è stato fondato innanzitutto su una innovativa modalità di pianificazione delle frequenze. Grazie al lavoro dell’Autorità delle comunicazioni e degli operatori, si è introdotta una profonda innovazione nel metodo applicato.
Per la prima volta, tale lavoro di pianificazione è avvenuto in piena sintonia con gli accordi internazionali, utilizzando un coordinamento con i Paesi limitrofi che mette l’Italia pienamente in regola con gli standard internazionali. È stata inoltre adottata una modalità SFN, per cui ogni TV ha una frequenza e non più tantissime, che, assegnando a ciascun operatore l’utilizzo delle stesse frequenze di trasmissione in tutti gli impianti dell’area, consentirà un’ottimizzazione dell’utilizzo delle frequenze finora mai raggiunta. Attraverso procedure di pianificazione e di assegnazione che rendono maggiore l’apertura del settore a nuovi operatori, delle oltre 35 frequenze utilizzate per realizzare altrettante reti digitali con coperture provinciali e regionali, solo un terzo è stato assegnato agli operatori principali, RAI e Mediaset, circa un terzo agli altri operatori nazionali, fra cui due reti destinate ad essere assegnate tramite gare a nuovi operatori (il famoso digital dividend), e oltre un terzo alle emittenti locali che si sono candidate a diventare operatori di rete e che dovranno connotare anche dal punto di vista dei contenuti questa loro presenza.
La tabella successiva, da non confondere con quella precedente perché l’entità dei decoder installati differisce da quella dei decoder utilizzati, indica dati eloquenti, che rendono la Sardegna l’area europea in cui la diffusione del segnale è maggiormente pronunciata. Ciò è stato possibile non solo grazie a una sperimentale politica di sussidi alle famiglie in regola con il pagamento del canone RAI per l’acquisizione del ricevitore, ma soprattutto grazie a una strategia assolutamente innovativa rispetto al panorama europeo, che ha anticipato il passaggio al digitale di due reti nazionali, Rai2 e Rete4, rendendo progressivo per gli utenti tale processo, abituandoli a un utilizzo di una nuova piattaforma, ormai praticato sistematicamente dalla maggioranza degli utenti.
Nel prossimo mese di ottobre l’insieme di tale processo, supportato da un’importante campagna di comunicazione, vedrà il passaggio di tutte le emittenti nazionali e locali dalla trasmissione analogica a quella digitale, sperimentando definitivamente tale modello e rendendo così la Sardegna la prima area europea digitale con una tale estensione territoriale di utenza e un modello per le regioni. Nella tabella seguente, viene precisato il precalendario che sovrintende allo switch over e allo switch off. Nella legge n. 101 del 2008, che ha convertito recentemente il decreto-legge n. 59, viene dato mandato al ministero di stabilire un calendario per il processo di digitalizzazione di ogni area, da pubblicare entro il 9 settembre.
L’Unione europea ha indicato a tutti i membri l’obiettivo comune di favorire le azioni necessarie, affinché entro la fine del 2012 sia conclusa la transizione dall’analogico al digitale. Alcuni Paesi come i Paesi Bassi hanno già compiuto tale tragitto, altri sono in stato avanzato, anche sulla base di una diffusione limitata della ricezione terrestre, giacché ad esempio nei Paesi del centro Europa sono assai più diffusi il cavo e il satellite.
Abbiamo promosso un coinvolgimento sistematico dei tre attori principali del processo: istituzioni, cioè le regioni, broadcaster e industrie, dando vita a cabine di regia in cui le politiche di attuazione fossero condivise da tutti i protagonisti.
In secondo luogo, si è messa in atto una politica di pianificazione per lo spegnimento delle aree geografiche e per l’assegnazione dei programmi e delle frequenze, che ha dato certezze agli operatori, agli utenti e alle amministrazioni locali. Il Regno Unito ha infatti individuato circa 15 aree, come anche i francesi e noi. Gli spagnoli hanno optato invece per aree molto più piccole nel complessivo numero di 73. Sono state inoltre attivate politiche che hanno favorito un profilo industriale tecnologico in linea con le scelte strategiche adottate, nel Regno Unito con decoder a basso costo, in Francia con il sostegno all’alta definizione e all’obbligatorietà dei ricevitori integrati negli apparati tv. Infine, sono state adottate politiche di sostegno finanziario differenziate, sia sussidiando le famiglie deboli individuate nelle varie regioni fra il 10 e il 15 per cento della popolazione complessiva o le aree oggetto di switch off anticipato, sia sostenendo i servizi pubblici, quali driver di tale processo, sia promuovendo apposite campagne di comunicazione.
Il Governo italiano ha condiviso l’insieme di queste iniziative, scegliendo quelle che più si adattano alla storia e alle caratteristiche del nostro sistema, dall’istituzione del Comitato nazionale Italia digitale (CNID) alla pianificazione della Sardegna e delle altre regioni, dall’attività di calendarizzazione attualmente in pieno svolgimento, ai finanziamenti al servizio pubblico e alle aree all digital. Sulla base di queste iniziative, la Spagna concluderà il processo di transizione entro il 2010, la Francia entro il 2011, il Regno Unito entro il 2012. L’impegno di tutti i protagonisti sarà quello non solo di rispettare il 2012, ma, se possibile, di anticiparlo.
Intendiamo portare la maggioranza dei cittadini di questo Paese a un ambiente integralmente digitale già entro la fine dei prossimi due anni. Posso anticipare al riguardo che la scaletta dovrebbe essere la seguente: Sardegna, Valle d’Aosta, Piemonte (provincia di Torino), Lombardia – la più complicata perché c’è un processo di coordinamento internazionale -, zone molto diverse, in grado di rappresentare modelli facilmente esportabili nel resto delle regioni. Si pone solo un grosso problema sulla costa adriatica, perché purtroppo alcuni Stati dall’altra parte del mare Adriatico non hanno alcun coordinamento né alcuna intenzione di consultarsi con noi sull’utilizzo delle frequenze. Questo sarà il problema più grosso che incontreremo nei prossimi mesi.
Si pongono dunque alcune priorità per l’accelerazione del passaggio al digitale: sostegno delle politiche di switch off nelle aree già individuate (Sardegna, Valle d’Aosta, Piemonte, Trentino e Alto Adige), rispetto dei tempi e delle modalità definite nei protocolli di intesa, pianificazione tecnica realizzata dall’Autorità e rilascio dell’autorizzazione da parte del ministero, sostegno economico alle fasce deboli, erogazione di nuovi servizi di pubblica utilità e realizzazione di campagne di comunicazione mirate.
Si tratta quindi di portare a compimento il medesimo modello virtuoso in via di conclusione in Sardegna, replicandolo in tutte queste aree pilota e mantenendo le scadenze già fissate. Verrà redatto un calendario nazionale di transizione, come previsto dalla legge n. 101. Entro il prossimo 9 settembre, sarà approvato un calendario nazionale che prevederà per ciascuna area del Paese tappe e scadenze per il passaggio al digitale, attraverso una consultazione con gli operatori e tutti i soggetti coinvolti a partire dai governatori. Le prossime settimane saranno utilizzate per individuare queste scadenze (o il metodo è condiviso, o rischia di fallire) attraverso uno stretto coinvolgimento dell’Autorità, nonché una riattivazione del CNID secondo le citate modalità.
Ci prefiggiamo inoltre la gestione del Fondo nazionale per il digitale, l’utilizzazione del fondo per le politiche mirate, che prevede nei prossimi tre anni una politica finanziaria congiunta Stato-regioni per il sostegno alle fasce deboli nell’acquisizione dei ricevitori, nonché il sostegno di iniziative finalizzate all’erogazione di servizi di pubblica utilità e campagne di comunicazione mirate, ovviamente approfittando dei decoder più «intelligenti».
Questo riguarda la parte della comunicazione televisiva, il processo di digitalizzazione. Per le Poste, invece, come ministero siamo sia strumento vigilante che autorità e quindi ricopriamo i ruoli che invece negli altri due settori sono suddivisi tra ministero e autorità delle comunicazioni.
Per quanto concerne la liberalizzazione del settore postale, l’efficienza e la qualità dei servizi resi dalla rete pubblica postale, quale strumento di integrazione dei tessuti economici e sociali delle aree territorialmente disagiate del Paese, ha un impatto immediato sulle prospettive di sviluppo dell’economia nazionale e sulla coesione sociale. Poste italiane con i suoi 14.000 uffici ha dimostrato una grande capacità strategica nell’affrontare le continue sfide del mercato orientato alla completa liberalizzazione del settore. La gestione e la regolamentazione di tale processo, iniziato già 11 anni fa, è stata affidata all’autorità di settore che è il dipartimento delle comunicazioni del Ministero dello sviluppo economico.
Le direttive europee 39, 67 e 97 del 2002 e la recente 6 del 2008 guidano la liberalizzazione fissata al 31 dicembre 2010, ponendo obiettivi di progressiva diminuzione delle quote di mercato riservate al fornitore del servizio universale, fino alla sua completa eliminazione dalla residuale area di monopolio, di garanzia di contestuali azioni ministeriali a favore della concorrenza, di fornitura del servizio postale universale a prezzi accessibili all’utenza, di miglioramento della qualità del servizio.
Si tratta dunque di un cambiamento sostanziale del mercato postale italiano che, seppur continuando a garantire la quota di monopolio sulle lettere fino a 50 grammi, vede l’ingresso sul mercato di nuovi operatori che si stanno facendo strada in questo settore. L’apertura del settore postale sta già dando buoni frutti. Ad esempio, il bank mail, regolamentato in Italia con la denominazione di posta massiva, costituisce circa l’80 per cento del traffico postale nazionale.
In questo nuovo scenario il ministero riveste un ruolo di fondamentale importanza, perché vigila su: determinazione di tariffe e prezzi del servizio universale, definizione dei relativi obiettivi di qualità, attività di rilascio dei titoli abilitativi e fornitura dei servizi postali in concorrenza con il fornitore del servizio universale (sono circa 1.550 gli operatori già autorizzati), rispetto degli obblighi relativi all’erogazione dei servizi postali. Nel rispetto dei principi di sussidiarietà, al ministero è affidato anche il compito di individuare le modalità di finanziamento per il rimborso degli oneri sostenuti per l’espletamento del servizio universale e le connesse metodologie di calcolo del relativo costo netto.
L’oggetto principale dei rapporti fra ministero e Poste è il contratto di programma, che è in corso di discussione nel 2009-2011 fra l’amministrazione delle Poste italiane Spa, e che costituisce lo strumento di riferimento in materia di servizi di pubblica utilità da parte di soggetti diversi dello Stato. Appare inoltre urgente regolamentare l’accesso ai servizi assicurati dalla rete postale pubblica durante tutto l’anno sull’intero territorio nazionale. Tale materia finora è stata soggetta a meri criteri di ragionevolezza, che mal si adattano all’esigenza di soddisfazione dei frequenti reclami dell’utenza, nonché degli organi e istituzioni rappresentative d’interesse delle cittadinanze sul territorio (enti pubblici territoriali, membri delle Camere, prefetture, associazioni rappresentative). Con il decreto ministeriale 28 giugno 2007 il ministero ha fissato standard minimi di servizio da osservare nel periodo estivo, con riferimento all’operatività e all’apertura giornaliera e oraria degli uffici postali.
È necessario fornire maggiori garanzie ai cittadini. L’attenzione della policy pubblica deve quindi spostarsi dalle necessità organizzative e di bilancio gestionale delle concessionarie a una maggiore attenzione nei confronti delle esigenze più volte manifestate dall’utenza, dai cittadini e dalle associazioni rappresentative di diversi interessi. La nostra proposta, quindi, è quella di adottare nuovi criteri di distribuzione della rete postale pubblica, prendendo, in particolare, misure tese ad assicurare il servizio nei comuni disagiati o a minore densità demografica, ove si garantisca l’operatività di almeno un ufficio postale.
Infatti, è convinzione dell’esecutivo che le azioni di contenimento dei costi e l’andamento decrescente dell’onere derivante dagli obblighi di servizio universale, che la società è tenuta a garantire, non debbano in alcun modo intaccare la capillarità della rete postale, soprattutto nelle zone territorialmente più disagiate ed economicamente meno remunerative.
In tal senso, le strategie di riorganizzazione della rete e del servizio, volte al conseguimento di un efficiente gestione finanziaria, affidata alla concessionaria, saranno oggetto di confronto permanente con l’autorità di regolamentazione, ovvero il ministero.

PAOLO GENTILONI SILVERI.
Signor presidente, ringrazio il sottosegretario Romani che ci ha fornito un quadro molto ampio del settore in esame e ci ha messo a disposizione la versione scritta della relazione presentata; il che è sempre un fatto positivo e un indice di serietà.
Devo dire scherzosamente, ma senza polemiche, che lo ringrazio, anche perché nell’impianto della sua relazione ritrovo un implicito riconoscimento di assoluta continuità con l’azione del Governo precedente su molte questioni. Fanno eccezione alcuni piccoli dettagli che, tuttavia, sono molto rilevanti dal mio punto di vista. Ad ogni modo, come ho detto, nella relazione rilevo una continuità che, a mio parere, nel nostro Paese non è qualcosa di cui ci dobbiamo vergognare, ma è un elemento assolutamente positivo. Quindi, è bene che sia confermata l’assoluta priorità degli interventi per la banda larga, così come lo sforzo di coordinare le risorse pubbliche – questa è una delle maggiori difficoltà che abbiamo incontrato negli ultimi anni, proprio per l’attenzione che l’opinione pubblica, i consumatori e gli utenti hanno sulla materia – per moltiplicare gli interventi di comuni, regioni, province e Stato centrale sul tema della banda larga. Credo che lo sforzo avviato per coordinare questo processo, attraverso lo strumento delle intese tra le regioni e il Governo, sia stato intrapreso nella direzione giusta. Mi fa piacere che si intenda procedere su questa strada.
Allo stesso modo vedo una conferma delle scelte fondamentali che abbiamo assunto nei due anni di Governo precedente, per impostare il processo di transizione alla televisione digitale, partendo dalla data finale, quel «12/12/12» che è attualmente il termine previsto dalla legge. A mio avviso sarebbe bello poterlo anticipare, tuttavia nel frattempo esso offre certezza al mercato e agli operatori. Abbiamo una data seria sulla quale lavorare, il 12 dicembre del 2012, passando attraverso lo strumento della migrazione anticipata di reti generaliste, come mezzo di promozione del digitale e le misure sui televisori integrati inserite nella finanziaria, che consentono di formulare le cifre di cui oggi parliamo.
Quando il sottosegretario Romani vi ha letto la tabella che parla di 2-300 mila pezzi digitali al mese, ha fatto riferimento a cifre che nella quasi totalità – tranne che in Sardegna e in Val d’Aosta – riguardano televisori integrati. La scelta che hanno compiuto l’Italia e la Francia è stata quella di indicare una prima scadenza, una tagliola, per le vendite all’ingrosso e poi, dal marzo del 2009, un’altra per le vendite al dettaglio. Ciò consentirà la penetrazione del digitale semplicemente attraverso il turnover degli apparecchi, dei 5 milioni di pezzi che si vendono ogni anno.
Vengo ora al modo in cui abbiamo scelto di portare la transizione al digitale in Sardegna, con la conferma della data di ottobre. In proposito, mi permetto di dire al rappresentante del Governo che tale termine rappresenta un obiettivo assolutamente delicato e da gestire con grandissima attenzione, innanzitutto nei confronti della regione. Occorre, infatti, considerare che l’anno prossimo in Sardegna si terranno le elezioni regionali. Quindi, lo switch off avverrebbe 4-5 mesi prima delle consultazioni elettorali, ovviamente accentuando tutti gli elementi di delicatezza della questione. Se non si svolge un lavoro attento nei confronti dei cittadini, delle fasce deboli, della diffusione e si immagina di poter gestire un processo senza dare priorità a questi problemi, credo che si corrano dei rischi.
Naturalmente non posso non sottolineare che nella conferma, a mio avviso positiva, delle scelte operate dall’amministrazione precedente, mancano alcuni piccoli particolari, e non soltanto con riferimento a questa materia. Mi è capitato di notare che la condotta dell’attuale Governo evidenzia problemi simili anche in altri settori, perfino in quello della sicurezza, così discusso e delicato. Si ribadiscono infatti alcune priorità ma poi si tagliano i fondi.
Mi fa piacere che un disegno di legge assegni 120 milioni l’anno per la banda larga per i prossimi anni. Mi fa meno piacere che i fondi che già erano presenti (50 milioni per il 2008) siano stati cancellati nella prima riunione del Consiglio dei ministri. Per ora, infatti, non abbiamo i fondi promessi per il futuro e neanche quelli già previsti grazie agli accordi stipulati con le regioni, quelli per la banda larga e via dicendo. Allo stesso modo, mi fa piacere che si lavori sulla cabina di regìa per il digitale terrestre e mi auguro che venga riunito presto il comitato nazionale Italia digitale, visto che è già qualche mese che non opera. Anche da questo punto di vista, tuttavia, mi risulta che, purtroppo, i fondi messi a disposizione per la transizione al digitale – che sono, come il sottosegretario Romani sa perfettamente, molto importanti, soprattutto per il rapporto con le regioni e le tv locali, che vanno coinvolte in questo processo – sono stati decurtati in modo molto sensibile, sempre in occasione della prima riunione del Consiglio dei ministri.
Colleghi, sto dicendo che rispetto ai due maggiori obiettivi indicati dal Governo, ossia la banda larga e la diffusione della televisione digitale terrestre, purtroppo abbiamo subìto un taglio molto sensibile delle risorse attualmente disponibili. Mi auguro che tale taglio possa essere presto ripristinato.
Infine, devo dire che certamente vi è qualcosa che non mi convince nell’impianto della relazione presentata dall’onorevole Romani. Mi riferisco al fatto che, dal mio punto di vista, alcuni nodi del nostro sistema, sui quali si è molto discusso in Parlamento in questi anni – che in parte attengono a iniziative di tipo parlamentare e in parte riguardano responsabilità amministrative dirette del Governo – non sono stati adeguatamente sviluppati nella relazione. In particolare, penso ad alcuni dei nodi strutturali del nostro sistema televisivo.
Il primo di essi è quello delle frequenze. Come sapete, ci troviamo in una fase delicatissima in Italia, da questo punto di vista, perché abbiamo due diversi procedimenti europei in corso, uno dei quali è la procedura d’infrazione sulla legge n. 112 del 2004. Peraltro, credo che sarebbe utile se in sede di replica l’onorevole Romani ci aggiornasse sullo stato della vertenza con Bruxelles.
Come ricorderete, uno dei primi provvedimenti presentati dal Governo è stato un emendamento al provvedimento cosiddetto «salva-infrazioni», sul quale vi è stato un grosso scontro attorno alla questione relativa a Rete4, ma che comunque era teso a bloccare quella procedura d’infrazione. L’Unione ha inviato in proposito un questionario molto «sfidante» sulla materia e ho l’impressione che il testo di quel provvedimento non sia del tutto risolutivo della faccenda. Comunque, sarà il Governo a informarci, se lo ritiene opportuno, sullo stato dell’arte.
Allo stesso modo – penso che sia assoluto dovere del Governo informare il Parlamento a questo proposito -, dovremo sapere come si sta lavorando per adempiere all’indicazione del Consiglio di Stato in ordine all’applicazione della sentenza del 31 gennaio scorso della Corte di giustizia europea, sul caso Europa 7. Come sapete, il Consiglio di Stato ha stabilito che entro il 15 ottobre il Governo italiano deve indicare le frequenze, se ci sono, a disposizione per Europa 7 e per risolvere il problema della mancata rispondenza del regime italiano delle frequenze all’ordinamento europeo. La materia è molto delicata – onorevole Romani, lei lo sa benissimo -, perché la possibilità che la strategia all digital di aree nella migrazione digitale sia sostenibile sul piano comunitario e su quello nazionale è fortemente legata al modo in cui essa considererà le obiezioni europee, che riguardano, come sapete, la trasparenza, la non discriminazione, l’apertura a nuovi soggetti entranti e via elencando. Contemporaneamente, è importante capire come riusciremo a rispondere, come Paese, alle procedure d’infrazione e alle sentenze della Corte di giustizia europea.
Altrimenti, tra queste due questioni si scatenerà un corto circuito. A un certo punto l’Europa ci dirà che la transizione per aree all digital non va bene, perché non risolve i nodi essenziali (non discriminazione, apertura del mercato e trasparenza) e perché i due processi finiranno per incrociarsi tra loro. Naturalmente, anche su questo secondo punto delle aree all digital, è molto importante che il Parlamento venga coinvolto. La scadenza è prevista per il 9 settembre.
Non so se già nel prosieguo di questa riunione potremo avere notizie al riguardo. Credo comunque che sarebbe utile se l’onorevole Romani oltre a consultarsi – come ha scritto nella sua relazione – con le forze produttive, con gli operatori e con le regioni, desse anche al Parlamento gli elementi per valutare il programma sulle aree regionali all digital che deve presentare entro il 9 settembre, come stabilisce la norma di legge.
L’altra materia in merito alla quale non ho ascoltato – mi auguro di poterlo fare nella replica – né ipotesi, né idee, né linee strategiche da parte del Governo, è quella legata al servizio pubblico televisivo e ai contenuti della sua offerta televisiva, comprese le questioni di cui parlava l’onorevole Barbareschi. Vi riporto solo alcuni esempi a tal proposito. In primo luogo, l’Autorità delle comunicazioni, tre o quattro giorni fa, ha fatto un’affermazione che aveva quasi il sapore di una segnalazione al Governo, anche se non lo era formalmente, pur potendo rientrare un’azione del genere nell’ambito dei suoi poteri. L’Autorità delle comunicazioni ha affermato che una riforma della RAI è indifferibile su due o tre punti. Chiedo, dunque, se c’è una risposta del Governo da questo punto di vista.
L’attuale opposizione aveva presentato – e ha ripresentato – nella scorsa legislatura una proposta. Naturalmente, facendo parte dell’opposizione, siamo più che mai aperti alla discussione. Lo eravamo quando eravamo maggioranza, figuriamoci adesso! Tuttavia, resta il fatto che non si può inaugurare una legislatura senza dire che cosa si intende fare in questo senso, tanto più se tre giorni fa l’Autorità delle comunicazioni ha detto che quella riforma è indifferibile. Inoltre, penso che vi siano alcuni strumenti già attivati, per esempio nel contratto di servizio tra il Governo e la RAI, che riguardano tutta la sfera dei contenuti dell’offerta televisiva, almeno per quello che riguarda il servizio pubblico, che, a mio parere, è dovere del Governo e dell’Autorità far applicare, ciascuno per le proprie competenze.
Mi riferisco sia ai criteri di misurazione del valore pubblico dell’offerta televisiva, il cosiddetto «Qualitel», che è compreso nel contratto di servizio e che deve essere attuato, sia a tutte le norme contenute nel contratto di servizio che prevedono uno sviluppo dell’attività RAI nel web dell’offerta televisiva on-line, attività in cui molte delle televisioni pubbliche europee sono all’avanguardia, mentre non sempre la nostra televisione pubblica lo è.
Quindi, mi aspetto di capire meglio che cosa ha intenzione di fare il Governo, non solo per l’intricatissimo nodo delle frequenze, su cui mi pare che la relazione dell’onorevole Romani non contenga alcuna indicazione, ma anche per la riforma del sistema televisivo pubblico che, tanto più dopo il richiamo dell’Authority, non può restare un capitolo vuoto nell’agenda del Governo e del Parlamento di questa legislatura.

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