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Audizione alla Camera, chieste nuove regole sui risarcimenti per diffamazione

No al carcere per i giornalisti, pensare a un nuovo rapporto tra pene e risarcimenti, rivedere il concetto di responsabilità del direttore, tenere conto dei cambiamenti che internet ha portato nell’informazione: sono alcuni dei temi al centro di un’audizione in Commissione Giustizia alla Camera dove sono stati ascoltati numerosi direttori di testate nazionali sul tema della diffamazione, nell’ambito del dibattito sulla riforma delle norme vigenti. Durante l’audizione, presieduta da Donatella Ferranti e moderata da Pino Pisicchio – cui hanno partecipato, tra gli altri, da Ferruccio De Bortoli(Corriere della Sera) a Bianca Berlinguer (Tg3), da Marco Travaglio(vicedirettore Il Fatto Quotidiano) ad Alessandro Sallusti (Il Giornale), daMaurizio Belpietro (Libero) a Sarah Varetto (Sky Tg24) e Giorgio Mulè (Panorama) – si è anche parlato delle cosiddette ‘querele temerarie ‘, considerate un tentativo di intimidazione e di pressione per scoraggiare lo spirito critico che dovrebbe ispirare l’attività del cronista. «In un Paese civile il carcere non dovrebbe essere previsto per i reati d’opinione – ha detto de Bortoli -, e questa potrebbe essere l’occasione per un riesame complessivo della responsabilità del direttore e dell’attività di controllo che si è fortemente complicata». Il direttore del Corriere della Sera ha auspicato che «questa sia l’occasione anche per svelenire un pò i rapporti tra politica e stampa. C’è la sensazione che ci sia una forma rivendicativa da parte del mondo della politica nei confronti di una stampa a volte troppo indisciplinata, a giudizio della politica stessa. Ma l’indisciplina è connotato di libertà». Sallusti, riferendosi alla responsabilità oggettiva del direttore, ha sottolineato che «un giornale ha caratteristiche non assimilabili a quelle di un’azienda che produce mobili» e dopo aver ricordato di essere stato «condannato anche per non avere pubblicato una rettifica, ma non ne sono venuto a conoscenza perchè non era indirizzata a me», ha fatto un riferimento alla «velocità dei processi» e all«’entità delle condanne pecuniarie quando i denuncianti sono magistrati. È un’anomalia, qualcosa di molto sospetto. Non so se il legislatore possa intervenire su questo». Per Travaglio, «è abbastanza seccante che se io critico un politico, mi denuncia e perdo di sicuro la causa, se lo fa lui si avvale dell’immunità parlamentare». Il carcere? «È un falso problema, negli ultimi 50 anni i giornalisti finiti in carcere saranno 2 o 3. Dobbiamo valutare se la pena detentiva sia ancora giustificabile». E ha poi parlato di «editori che usano i loro giornali come clave e carote, e i giornalisti spesso usati come killer»Il rapporto tra pena e risarcimento è stato al centro dell’intervento di Liana Milella di Repubblica che ha messo in guardia dall’uso dei risarcimenti che «in un momento di pesantissima crisi dell’editoria rischiano di diventare un bavaglio all’informazione». (Ansa)

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