Il Viminale istituzionalizza il giornalista “a gratis”

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Giornalisti 5 euro al pezzo. Tariffe da venditori di fazzoletti ai semafori per una marea di free lance e ragazzi di belle speranze nella giungla del precariato quotidiano. Ma ecco che una Luce squarcia il Cielo, il Messaggio celestiale arriva dal Viminale: avrai la fortuna di lavorare per un anno come giornalista professionista potendo interloquire con autorità nazionali e internazionali. Gratis. Quando si dice “Free Press”…

Non siamo su scherzi a parte, ma nelle ovattate stanze degli Interni, dove fervide menti hanno partorito la genialata del secolo: i giornalisti – bestie da soma – dovrebbero essere lieti e felici di lavorare per la gloria in una istituzione così prestigiosa come quella guidata, nel passato, da statisti del calibro di Antonio Gava ed Enzo Scotti, di Nicola Mancino e perfino Giorgio Napolitano; ed esaurito il plotone campano, in tempi più recenti del leghista Roberto Maroni fino ad approdare tra le braccia di Angelino Alfano.

Di fronte alla cui figura tutti coloro i quali vivono di giornalismo devono inginocchiarsi in segno di gratitudine e rispetto: visto che dal Guardasigilli è arrivata la grande chance per la vita di molti, il lavoro “a gratis” che di questi tempi è l’ideale per tirare avanti e contemplare con filosofia i saccheggi delle casse pubbliche ad opera di onorevoli, senatori e lacchè della nostra repubblica delle Banane.

Commenta un sindacalista romano che ne ha potute osservare tante in questi anni che hanno visto la categoria dei giornalisti sempre più ridotta a carne da cannone.È da anni che denunciamo in modo del tutto inutile il precariato ormai dilagante in tutte le redazioni. Questi editori taroccati stanno uccidendo quel poco che resta della carta stampata pagando poco o niente i collaboratori e free lance che ormai fanno i giornali, tranne le poche firme rimaste sul campo come fiori nel deserto. E dicono: ‘dovresti già essere orgoglioso di mettere la tua firma sul giornale’, altro che storie. Siamo ridotti a questo”.

Il caso del Viminale è la ciliegina sulla torta, l’emblema di una situazione giunta al suo acme paradossale: se un ministro si permette di fare addirittura un bando istituzionalizzando non solo il lavoro precario, ma una sorta di nero ‘a gratis’, vuol dire che siamo alla frutta. In qualsiasi Paese un ministro del genere avrebbe già rassegnato da ‘ieri’ le dimissioni”.

Ma c’è da stare certi: Angelino Alfano, che ne ha già passate diverse di bufere, anche giudiziarie, rimarrà avvitato alla sua poltrona. E più renzizzato che mai.
Vediamo comunque qualche “retroscena” dell’intera vicenda.

Da chi è partito, concretamente, il bando della vergogna? Da uno specifico Dipartimento che fa capo al Viminale, ossia il “Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione”, che ha pubblicato il 10 marzo sul proprio sito istituzionale una “Procedura comparativa per il conferimento a titolo gratuito di incarico di prestazione di lavoro autonomo occasionale per lo svolgimento delle attività di Comunicazione per le esigenze del Dipartimento per le Libertà Civili e per l’Immigrazione”.

La richiesta è indirizzata a giornalisti professionisti, “con esperienza lavorativa documentabile da almeno tre anni nel settore della comunicazione e dell’informazione maturata nell’ambito della Comunicazione istituzionale presso le Pubbliche amministrazioni e/o presso questa Amministrazione”. Rigorosi, inflessibili e selettivi al punto giusto, le Menti del Viminale. Che chiedono una serie di ulteriori “requisiti”: perfetta padronanza dell’inglese, capacità di studiare ed elaborare “forme innovative di comunicazione”, disponibilità a viaggiare all’estero (chissà se a proprie spese). Il massimo.

Vediamo a questo punto chi è al vertice di quel “Dipartimento”. Il responsabile si chiama Mario Morcone. Un signor nessuno, ma dal denso curriculum. 64 anni, casertano, comincia la sua carriera prefettizia all’ombra di Nicola Mancino: nel ’92, infatti, è capo della sua segretaria particolare proprio al Viminale. E’ poi prefetto in varie città italiane, tra cui Rieti e Arezzo. Quindi fine millennio coi botti: quelli del Kosovo, dove è tra gli inviati speciali con l’elmetto dell’Onu. Torna a Casa – il Viminale, of course – con l’inizio millennio, sulla poltrona di direttore generale del dipartimento di amministrazione civile.

Ha la passione per il rischio e così per cinque anni, dal 2001 al 2006, va a capeggiare i Vigili del Fuoco. Brevissima parentesi al Comune di Roma (commissario straordinario nel dopo Veltroni), altro passaggio da non poco (la direzione nazionale dell’Agenzia per i beni confiscati alle mafie), poi l’approdo al suo Dipartimento, quello per le Libertà civili e l’Immigrazione.

Che, però, gli procura qualche rogna: viene infatti indagato per una brutta storia finita sotto i riflettori della procura di Potenza e riguardante alcune sigle “caritatevoli e solidaristiche” impegnate nella gestione di centri per immigrati. Altro inquisito “eccellente” Gianni Letta, il gran Ciambellano di Silvio Berlusconi. L’inchiesta finirà nel un solito flop, prosciolti gli imputati, tra cui ovviamente Morcone. Le sigle allora sotto i riflettori, però, riemergeranno qualche anno dopo con l’inchiesta di “Mafia Capitale”, proprio per gli stessi business sulla pelle degli immigrati, via centri d’accoglienza: le nuove “vie” di maxi business per coop facili di vari colori, colletti bianchi e mafie.

Ma torniamo al pedigree di Morcone. Che nel 2011 viene presentato dal Pd come candidato alle amministrative di Napoli. Non arriva neanche al ballottaggio, surclassato da Luigi de Magistris, che poi diventa sindaco (e verrà riconfermato dal prossimo, scontato voto del 12 giugno), e dal forzista (anche lui ricandidato adesso, tanto per cambiare) Gianni Lettieri. Umiliato dal voto popolare, il signor nessuno torna al suo Viminale, per ri-occupare l’amata poltrona alle Libertà civili e all’Immigrazione: e partorire oggi, il Super Bando…

Alla fine del viaggio, un altro interrogativo sorge spontaneo: ma l’eterna portavoce di Angelino fin dai tempi della Giustizia (quando Alfano, dal 2008 al 2011, ricopriva la carica di ministro nell’esecutivo Berlusconi poi “montizzato”), ossia Danila Subranni (figlia dell’ex generale dei carabinieri e per a capo del Ros ad inizio anni ’90), lavora “a gratis”? Viene pagata dal ministero? O da chi?

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