VENDITA TIMEDIA, SOLO CLESSIDRA E CAIRO. “NO” DI BEN AMMAR. STELLA SI DIMETTE. DAL TG LA7 AVVERTONO: «ATTENTI AI MONOPOLI»

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Vendita Timedia: rimangono il fondo Clessidra che propone 300 milioni per tv e frequenze; la Cairo Communication, concessionaria di Timedia, pagherebbe la stessa cifra solo per le televisioni (La7 ed Mtv). Tarak Ben Ammar, finanziere franco tunisino, smentisce il suo interessamento: «Non compro La7». Ma da consigliere Telecom Italia e Mediobanca assicura: «Dobbiamo vendere. Non possiamo tenerci una società in perdita». Intanto Giovanni Stella si dimette anche da ad di La7srl. Il motivo? Divergenze sui costi. E dalla redazione del Tg La7 avvertono: «La nostra tv è un bene pubblico. Attenzione a possibili monopoli. Sarebbe meglio venderla a network stranieri».
La vendita di Timedia procede a rilento. Addirittura sembra in stallo. Lunedì scorso è scaduto il termine per le offerte vincolanti. E gli interessati ufficiali sono quattro. Ma le offerte “interessanti” sembrano solo due.
C’è il fondo Clessidra, guidato dai manager Caludio Sposito e Marco Bassetti, che insieme al fondo Equinox, un società di investimento fondata da Salvatore Mancuso, ha messo sul piatto 300 milioni di euro per le tv e i tre multiplex.
C’è la Cairo Communication, la concessionaria per la pubblicità di Timedia,fondata da Urbano Cairo, che per i soli asset televisivi sborserebbe 300 milioni (la stessa cifra che Clessidra pagherebbe per l’intero pacchetto).
In lizza c’erano anche 3Italia, la società di telecomunicazioni che fa capo al gruppo telefonico H3G, e Discovery Channel, noto gruppo televisivo statunitense. Ma le due società sembrano essersi defilate. 3Italia aspetterebbe ordini da Hong Kong, dove risiede la società “capogruppo”; Discovery sarebbe pronta ad una “timida” alleanza.
Dunque, a questo punto, Telecom Italia, che controlla il 77,7% di Timedia, dovrebbe accontentarsi di una cifra molto inferiore rispetto alle aspettative. La società presieduta da Franco Bernabé sperava (e forse spera ancora) in una offerta vicina ai 460 milioni. In effetti Timedia vale 242 milioni in Borsa. Poi ci sono i debiti del gruppo: circa 220 milioni. Infine ci sono le perdite del 2012 che non sono trascurabili: nei primi 9 mesi dell’anno in corso la società ha perso circa 50 milioni.
Ma i potenziali acquirenti sembrano aver messo le mani avanti: comprerebbero Timedia solo “in saldo” e senza debiti.
Inoltre, il fondo Clessidra ha posto una precisa precondizione: la rinegoziazione del contratto con la Cairo Communication. La concessionaria per gli spot ha un accordo con Timedia, che scade nel 2019, che le permetterebbe di trattenere per sé una buona parte del surplus pubblicitario raccolto. In altre parole Cairo garantisce un minimo prestabilito. Poi se ci dovranno essere dei risultati maggiori, le risorse raccolte in più saranno divise tra Timedia e lo stesso Cairo. E quest’accordo non sta bene a dei potenziali acquirenti. Quale società investirebbe delle somme cospicue per poi dividere il frutto dei risultati con altri?
Tale problema non si porrebbe, ovviamente, se l’acquirente fosse la stessa Cairo Communication.
Dunque, ora Telecom Italia e i suoi due advisor, Mediobanca e Citi, si trovano a gestire una situazione critica. La società di telecomunicazioni avrebbe voluto concludere l’operazione di vendita per la fine del 2012. Ma, per ora regna l’incertezza, anche se Bernabé ha rassicurato: «Non c’è nessuno stallo. I tempi sono quelli previsti e avremo soddisfazione». Oggi c’è in programma un nuovo cda. Ma probabilmente non verrà deciso nulla di definitivo.
Addirittura fino ad ieri circolavano voci “equivoche” su un possibile (re)interessamento di Tarak Ben Ammar, il finanziere franco tunisino proprietario di Prima Tv, una holding che controlla Dfree, la rete che diffonde molti canali prestigiosi tra cui Discovery, Bbc e quelli “Premium” di Mediaset. Ben Ammar (tra rientrava nei possibili acquirenti la scorsa estate) risiede sia nel cda di Telecom che in quello di Mediobanca. Si poteva già gridare al conflitto di interessi. Ma Ben Ammar, che rimarrebbe comunque interessato alla prossima asta per le frequenze tv, ha subito smentito: «Non compro La7» E poi, in veste di consigliere, ha precisato: «Dobbiamo vendere. Non possiamo tenerci una società in perdita». E poi alla domanda se in un momento di crisi per tv e pubblicità,, secondo lui, potesse volere La7, Ben Ammar ha risposto: «Nessuno. Ma i potenziali acquirenti hanno anche qualcos’altro in mente, hanno anche altri interessi come le frequenze che hanno valore».
Dunque per ora non resta che attendere le decisioni del vertice del gruppo Timedia. Ma anche all’interno di questo non regna la pace. Infatti Giovanni Stella, che già a giugno lasciò la vicepresidenza e il ruolo di ad di Timedia, rimanendo come consigliere e come ad della “nuova” La7 srl (società nata in estate per l’operazione “scissione reti – frequenze), ha lasciato anche quest’ultima carica. Il motivo? Divergenze con i dirigenti Telecom. Questi avrebbero preteso troppi tagli ai costi di produzioni e avrebbero lamentato ingaggi troppo elevati per le star televisive. E giovedì 13 è previsto un cda per eleggere il sostituto di Stella.
Intanto come vivono i lavoratori di La7 durante le trattative per la vendita della loro azienda? Antonio Roccuzzo, caporedattore del Tg La7 ha scritto le sue idee su Il Fatto quotidiano. Il giornalista ha affermato che «la vendita di una tv nazionale, non è una questione che riguarda solo o tanto i giornalisti, né solo gli azionisti e gli analisti di Borsa e neppure riguarda solo i manager di Telecom. Riguarda tutti perché La7 è un bene comune e pubblico». Inoltre Roccuzzo mette in allerta per il pericolo di eccessiva concentrazione del potere mediatico. «Cosa accadrebbe se questo bene comune lo comprasse, anche per conto terzi, uno degli “attori” già presenti sul mercato?» . E poi «perché sono svanite le offerte di due grandi network internazionali [Sky e il gruppo Bertelsmann]? Ci uniamo alle domande.

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