USA/ LO “STOP ALLA PIRATERIA ONLINE” PROCEDE TRA MOBILITAZIONI E POLEMICHE

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La Commissione Giustizia della Camera Usa è impegnata da questo giovedì in un lungo dibattito sul testo di legge molto discusso negli Stati Uniti, il Sopa, destinato a punire con una lama a doppio taglio i portali online stranieri sospettati di violare il copyright dei giganti dell’economia di settore.

Il provvedimento in questione darebbe al Dipartimento di giustizia Usa (DOJ), nonché alle compagnie titolari dei diritti d’autore, il potere di costringere con un decreto ingiuntivo i siti web statunitensi ed i servizi di pagamento online, come Paypal o Mastercard, a tagliare tutti i ponti con quei domini stranieri sospettati di ospitare contenuti protetti o di commercializzare prodotti contraffatti.
L’audizione svoltasi nella giornata di ieri ha deluso in gran parte le attese dei maggiori detrattori della legge recante la firma del Repubblicano Lamar Smith. La rivista specializzata Cnet rivela che il disegno di legge, non modificato nella sostanza, al momento raccolga l’appoggio di una quota dei membri della Commissione oscillante tra i due terzi e i tre quarti. Un rapporto numerico che potrebbe fungere da scudo contro i 60 emendamenti presentati alla bozza originaria, e di cui solo quattro sono stati fino a ieri oggetto di dibattito, due dei quali approvati dai legislatori. Compreso quello di 70 pagine introdotto dallo stesso Lamar Smith e volto a fornire una descrizione più dettagliata della tipologia di siti web che potrebbero divenire bersaglio della misura di enforcement.
Un iter per adesso seguito con grande soddisfazione dalla Motion Picture Association of America e dalla Recording Industry Association of America, i principali beneficiari della legge, ostili ad uno smussamento troppo radicale del suo impianto originario.
Tra le modifiche bocciate figurano le due presentate dal Repubblicano Jared Polis (D-CO), forse l’unico membro della Commissione dotato di una qualche competenza tecnica per aver fondato diverse compagnie internet. Gli emendamenti miravano da un lato ad evitare che i siti universitari e gli enti no-profit potessero essere soggetti all’eventuale chiusura dei server qualora incriminati dal Sopa e dall’altro ad escludere dall’eventuale “confisca” gli indirizzi Ip dinamici associati alle stampanti dotate di connessione ad internet. Il rigetto di entrambe le proposte appare ancor di più immotivato se si considera l’ok dato all’emendamento di Lamar Smith che rende di fatto “immuni” operatori di sottodomini come GoDaddy.com: «Perché allora non esentare (dal provvedimento) anche i server di dominio non commerciali?», ha chiesto giustamente Polis.
Probabilmente il voto slitterà per diversi giorni nonostante le forti pressioni esercitate a favore di un’approvazione in tempi brevi da parte della Commissione, per far passare il testo al vaglio definitivo del Congresso.

Certo è che il ritmo lento seguito dalle udienze potrebbe giocare a favore di quanti vorrebbero una revisione più estesa del provvedimento. Tra questi figurano i giganti della Silicon Valley come Google, Twitter, Yahoo!, Paypal e Linkedin autori di una lettera aperta pubblicata su una pagina a pagamento di testate come il New York Times ed il Washington Post in cui mettono in guardia da una legge che, a loro giudizio, rappresenta un serio pericolo per la libertà del web e per il progresso stesso.
Intanto più di un milione sono le firme raccolte dalla petizione lanciata dal gruppo di pressione Avaaz.org mentre più di 700mila sono stati i click “Mi piace” al sito anti Sopa “Americancensorship.org”. Infine anche l’American Society of New Editors (ASNE) che rappresenta editori di giornali, di agenzie di stampa e di informazione online oltre che giornalisti, mercoledì ha inviato una lettera al Congresso per chiedere di fermare il disegno di legge.
“SOPA non solo potrebbe pregiudicare la libertà di parola, ma metterà anche a tacere la forza lavoro di internet ed i suoi lettori smontando interi siti web”, è il messaggio dell’iniziativa promossa dal portale “I workfortheinternet.org”, dove giornalisti e quanti svolgono su internet il proprio lavoro, hanno messo la propria faccia per contestare l’iniziativa legislativa.
Manuela Avino

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