Le intemperanze in diretta televisiva dell’ex Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, mitigate o addirittura silenziate dai giornalisti riportano il rapporto tra politica e informazione a tempi passati; quando la politica rispettava il ruolo dell’informazione, anche se ostile.
Negli ultimi anni i rapporti sono cambiati, in quanto chi governa ha puntato sulla disintermediazione e sul rapporto diretto con i cittadini attraverso l’utilizzo compulsivo dei social network. D’altronde il mezzo è bello comodo, un canale su cui eventualmente investire un po’ di denaro pubblico, un grande balcone per grandi comizi e nessuna domanda scomoda. Non è un fenomeno americano, Trump ne è solo il più illustre interprete.
Basti pensare al Governo italiano che spacciò nel pieno della precedente ondata di pandemia una diretta facebook per una conferenza stampa o ai monologhi del Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. La notizia è che oggi il vigore delle dichiarazioni di Trump si infrangono non tanto nelle domande dei giornalisti, ma nelle limitazioni che vengono imposte alle sue notizie ritenute false da twitter e da facebook. E’ un bene in un momento contingente, ma è un male in una prospettiva di medio lungo periodo.
Il giornalista commenta quello che dice il politico e spiega in diretta perché l’ha fatto; è costretto ad argomentare, a spiegare le ragioni e spesso a confrontarsi con altri soggetti. I social network rimuovono, censurano. E la loro funzione è sempre più pubblica. Quando la politica occidentale riuscirà ad andare oltre il contingente dovrà aprire un vero dialogo con tutti i soggetti per evitare che siano i social network a decidere quale balcone aprire ai sempre più frequenti dittatori da operetta che caratterizzano la società civile contemporanea.
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