Dal punto di vista strettamente tecnico, per ora, il passaggio al digitale terrestre è stato quasi una scampagnata. Sardegna, Val d’Aosta e Piemonte occidentale sono, infatti, territori protetti naturalmente contro le interferenze e, soprattutto, interessati da un numero di emittenti locali limitato.
Non sarà altrettanto per la Campania, per il Lazio e per la Lombardia.
In quest’ultimo caso a gravare sulla migrazione tecnologica vi è la presenza di una quarantina di emittenti locali e di tutti gli operatori nazionali, che si somma ad una tipicità orografica che, come noto, necessita di una pianificazione interregionale che contempli anche le province del Piemonte orientale (Alessandria, Asti, Biella, Novara, VCO, Vercelli) ed una dell’Emilia (Piacenza).
Non solo: la vicinanza della Svizzera limiterà l’utilizzo dei 55 canali previsti e oltretutto dovrà essere considerata la detrazione frequenziale causata dal “dividendo digitale”. A peggiorare la situazione c’è il fatto che alcune frequenze ridondanti sono state tempestivamente destinate da alcuni editori a nuovi operatori di rete, così accrescendo il numero di soggetti che siederanno intorno al tavolo tecnico di pianificazione con la manina alzata in sede di spartizione dei canali.
Una brutta gatta da pelare per Paolo Romani, che certamente dovrà trovare lestamente (lo switch-off del Piemonte orientale e della Lombardia è previsto per il primo semestre 2010) una soluzione se non vorrà essere tacciato di aver, se non scavato, quantomeno coperto la fossa alle emittenti locali per favorire la “multiplexazione” di Mediaset, RAI, ecc.
(www.newslinet.it)
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