E se il successo dei social fosse frutto della crisi dei media?

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Giornali e media tradizionali stanno affrontando una crisi che non ha precedenti. Sulle pagine di Repubblica il presidente Agcom Angelo Marcello Cardani prova ad sviscerare il problema: sarà colpa dei processi di digitalizzazione e del web sempre più presente nella vita di tutti i giorni?

Tra giornali e social network corre buon sangue? Chissà, quello che è certo è che nell’era della digitalizzazione l’editoria, ma anche tutta l’industria dei media, sta affrontando difficoltà enormi. A fronte di questa situazione troviamo invece il successo di social, aggregatori e piattaforme digitali. Sarà un caso?

Probabilmente no, spiega dalle pagine di Repubblica Angelo Marcello Cardani, presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, anche perché “la struttura tendenzialmente oligopolistica dei mercati – quelli dominati da Apple, Google, Facebook, Amazon, campioni di Borsa e di comunicazione – crea problemi inediti di vigilanza e regolamentazione.

Tra sfida e integrazione Cardani sceglie la prima, pur tenendo presente che nonostante la crisi, il nuovo scenario porta con se nuove opportunità. In particolare, sottolinea ancora il presidente Agcom, “occorre ricercare forme nuove di rapporto col pubblico, ibridare generi, rompere la sacralità del lavoro di redazione, ‘sporcarsi’ le mani con la rete; riorganizzare il mestiere dell’editore e del giornalista. Soprattutto è necessario ricercare maggiore efficienza ed economie di scala”.

Un esempio? La fusione tra Repubblica e la Stampa andrebbe proprio in questa direzione. In merito ai processi di fusione Cardani evidenzia come nascano per rispondere a logiche economiche e di mercato ben precise. Per questo motivo è giusto controllarli, ma non è necessario guardarli con sospetto. “Ciò è tanto più vero in quei mercati, come il comparto editoriale, che soffrono di un perdurante stato di crisi di ricavi e di vendite, ed in cui operano imprese di cui è in discussione la stessa sopravvivenza nel medio periodo”.

Ma i mercati della comunicazione sono molto particolari ed entrano in gioco principi costituzionali come ad esempio il pluralismo dell’informazione. Per questo motivo si moltiplicano le cautele del regolatore, “d’altra parte il nostro ordinamento ha molti strumenti per intervenire sulle concentrazioni lesive del pluralismo o della concorrenza”.

Ma qual è il problema dell’Italia? Probabilmente, afferma ancora Cardani, da noi si “sconta un ritardo complessivo di cultura e alfabetizzazione digitale rispetto ai Paesi più evoluti del pianeta. È chiaro che non avremo una vera rivoluzione digitale se continueremo a trascinarci a lungo una quota non irrilevante di popolazione in stato di analfabetismo digitale. Occorre far passare l’idea che la rivoluzione digitale cambia (può cambiare) la vita di tutti i cittadini”, conclude il presidente Agcom.

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