Se l’avvocatura dello Stato chiede la censura per Palamara e Sallusti

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Il tema della giustizia è oramai al centro del dibattito politico. I referendum proposti dal partito radicale da un lato, il giustizialismo estremo interpretato da Travaglio dall’altro e, nel mezzo, la prescrizione e i tempi del processo. Ma intanto alcune notizie sono in sordina, una per tutte l’avvocatura dello Stato che ha citato in giudizio Palamara e Sallusti per diffamazione.

I punti sono due: il primo è comprendere quale è la causa che ha provocato il danno per l’immagine dell’avvocatura dello Stato. I comportamenti da parte di una parte della magistratura denunciati da Palamara e Sallusti o la denuncia di questi comportamenti. Per l’avvocatura dello Stato bisogna perseguire il racconto, la narrazione, la cronaca, non il fatto. Se una parte della magistratura ha condizionato, tenuto sotto scacco la politica non fa nulla. L’importante è che non si sappia, altrimenti si perde l’immagine istituzionale.

Il secondo punto è ancora più delicato, in quanto l’avvocatura dello Stato si trasforma da garante dei diritti dello Stato, da soggetto terzo a tutela delle istituzioni, in istituzione. Diventa a tutti gli effetti un potere, l’ennesimo potere che si contrappone non solo a quelli costituzionalmente individuati, quello legislativo e quello esecutivo, in particolare, ma anche all’intera avvocatura che da tempo reclama circa i problemi dell’amministrazione della giustizia.

Mai come questa volta hanno ragione i radicali, per una riforma della giustizia, per l’obiettivo di una giustizia giusta serve volare alto e affrontare il tema entrando nel merito dei singoli rivoli che compongono l’universo giustizia. Senza nascondere la polvere, che in realtà si dovrebbe chiamare ingiustizia, sotto i tappeti, senza censurare chi denuncia, anzi, in realtà racconta. Citare in giudizio un libro, senza rispondere con gli argomenti, è cosa grave; gravissimo se l’attore è l’avvocatura dello Stato.

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