RAI: MONTI CAMBIA LA STATUTO MA RIMANGONO I CONTRASTI

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Un ad scelto dal Tesoro con ampi poteri, un presidente operativo e un cda “sterilizzato”. È questa l’ultima idea del governo. Gasparri: «eventuali modifiche rappresentano violazioni molto gravi».
Orfini: «le modifiche statuarie non sono sufficienti. Serve un ritocco alla legge Gasparri».
Usigrai: «i consiglieri depotenziati sono pletorici. Avviate le procedure di sciopero».
Oggi si riunisce l’Assemblea dei soci per approvare il bilancio. Al massimo per l’8 maggio, data della seconda eventuale convocazione, deve essere tutto pronto, o quasi. E invece no.
Si respira un’aria di frenesia operativa che genera solo confusione e dissidi. Si vorrebbe risolvere un problema storico dell’Italia in poche ore. Ardua impresa anche per i tecnici. C’è da precisare che al dossier Rai ci stanno lavorando Monti, Catricalà, Peluffo, Giarda e Passera.
L’ultima proposta del governo è cambiare lo Statuto della tv pubblica.
Visto che si è potuto o voluto [ma la sostanza non cambia] modificare la legge Gasparri, visto le “barricate” alzate dal Pdl, si cerca di aggirare l’ostacolo, ma senza recare turbamenti eccessivi. Un pool di giuristi, che sta collaborando col governo, avrebbe trovato un modo per aggirare l’ostacolo: dare più potere al consigliere del Tesoro e al presidente, anch’esso designato da Palazzo Chigi (ma “bisognoso” dell’approvazione dei due terzi della Vigilanza).
Il cda rimarrebbe sempre di 9 membri: 7 nominati dalla Vigilanza e 2 dal governo. Secondo la nuova “teoria” i numeri rimarrebbero gli stessi. Cambierebbe solo la funzione e la forza operativa. Il consigliere eletto direttamente del Tesoro avrebbe “poteri speciali”. Insomma sarebbe come una sorta di amministratore delegato. E il presidente diventerebbe anch’esso un dirigente. In questo modo l’ad e il presidente non dovrebbero passare per le “forche gaudine” del Consiglio anche per le decisioni più rilevanti come la nomina dei direttori e i contratti plurimilionari.
Questa strategia servirebbe anche per mandare un segnale al Pd, sperando che i democratici decidano di partecipare alle nomine.
Tuttavia anche questa nuova proposta non raccoglie un adeguato consenso. Al Pd non basta, al Pdl sembra troppo “eversiva”.
«Le modifiche statutarie non sono sufficienti per parlare di svolta. Serve un ritocco della Gasparri», ha dichiarato Matteo Orfini, responsabile informazione e cultura del Pd.
Al Pdl ogni minima variazione della governance non va giù. Il senatore Gasparri afferma che «l’attuale meccanismo è regolato da norme conformi alla Corte Costituzionale». Per il pidiellino ogni variazione è una violazione e un sopruso al Parlamento.
Neanche l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, è soddisfatto a pieno della proposta del governo. «Noi continuiamo a pensare che il toro si debba affrontare per le corna. È evidente che tentare di neutralizzare in parte gli effetti perversi della Gasparri con una riforma dello statuto Rai, come leggiamo oggi da scarne anticipazioni di stampa, sia meglio che subire passivamente la dannosa legge in vigore», ha affermato l’Usigrai. Il sindacato continua nella disamina: «i consiglieri “depotenziati” si rivelerebbero ancor di più a tutto tondo pletorici. Ci si chiede se in una stagione di tagli la Rai se lo possa permettere. In ogni caso rimarrebbe irrisolto il nodo evidenziato dal consiglio d’Europa: i servizi pubblici devono essere indipendenti dai governi di turno. Neanche quello Monti può fare eccezione e scegliere liberamente chi debba effettivamente comandare in viale Mazzini, altrimenti pure l’attuale premier vulnererebbe l’indipendenza della Rai. Un passo avanti ci sarebbe solo se si trovasse anche un metodo trasparente e basato oggettivamente su ciascun curriculum. Il tutto in tempi rapidissimi». Parole dure a cui seguono i fatti. L’Usigrai ha annunciato che ha avviato le procedure di sciopero motivando così: «ci stiamo confrontando con un gruppo dirigente che un po’ continua a governare con tagli indiscriminati delle sedi di corrispondenza e ai budget delle testate, un po’ non è in grado di farlo, tanto da tenere bloccati i piani editoriali di Tg1 e Tgr. Per non parlare della radio, che da anni è senza un sistema di rilevazione degli ascolti e naviga alla cieca, o del progetto dello sport, già contestato dalla redazione con uno sciopero e del processo di digitalizzazione al palo da anni».
Come finirà la tormentata storia di Viale Mazzini?
Egidio Negri

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