Editoria

Pierluigi Roesler Franz:” Ordinanza della Cassazione mette in ginocchio definitivamente l’INPGI”

Come un fulmine a ciel sereno una nuova grave minaccia incombe sul futuro dell’INPGI 1, Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”, ente previdenziale privatizzato come Fondazione dal 1994, ma unico ente sostitutivo dell’INPS in Italia in base alla legge Rubinacci n. 1564 del 1951 tuttora in vigore da 69 anni (sia pure rinnovata nel 2000 con la legge n. 388, articolo 76). E paradossalmente questo inatteso fulmine arriva proprio a ridosso dei tentativi di salvataggio in extremis dell’ente da tempo a corto di liquidità sia per la pesantissima e strutturale crisi dell’editoria che si protrae ormai da almeno da 10 anni e si é aggravata per la pandemia da coronavirus Covid-19, sia per aver svolto anche le funzioni di bancomat per gli stessi editori, sia soprattutto per la mancanza di attenzione e di sensibilità da parte dello Stato che non si é comportato sul fronte dell'”assistenza” come, invece, avviene da sempre con l’INPS, anzi, si é praticamente disinteressato dell’ente dei giornalisti lavoratori subordinati, costringendolo ad attingere al suo stesso patrimonio per poter pagare puntualmente le pensioni e gli ammortizzatori sociali della categoria (disoccupazione, cassintegrazione, contratti di solidarietà, tfr in caso di fallimento, mancati recuperi da aziende fallite, contributi figurativi da corrispondere in base all’art. 31 dello Statuto dei lavoratori sulle pensioni dei numerosi giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, sindaci di grandi città, governatori di Regioni, ecc.).

Dal 2011 ad oggi l’INPGI 1 é stato quindi costretto a disinvestire titoli, fondi ed immobili addirittura per 1 miliardo e 200 milioni di euro e la sua riserva tecnica reale (rapporto tra le pensioni in corso di pagamento ed il suo patrimonio) é scesa a soli 2 anni contro i 5 anni previsti per legge. Il 31 dicembre prossimo scadrà infatti il termine previsto dalla legge per presentare un nuovo e dettagliato bilancio tecnico-attuariale dell’INPGI 1 che eviti un suo possibile Commissariamento (per l’INPGI 2, ente che con gestione separata assicura i giornalisti lavoratori autonomi, non vi é, invece, alcun problema perchè naviga a gonfie vele con le casse piene e un boom di iscritti).

Ebbene mentre il Sottosegretario all’editoria Andrea Martella (Pd) si sta da tempo adoperando per trovare tutte le soluzioni possibili al fine di garantire la sopravvivenza dell’INPGI 1, ente incaricato di pubbliche funzioni in base all’art. 38 della Costituzione (la legge di stabilità per il 2021 può rappresentare l’ultima spiaggia utile), e in particolare anticipando di due anni rispetto al 2023, come previsto dall’art. 16 quinquies del decreto-legge n. 34 del 30 aprile 2019 varato dal 1° governo Conte su proposta dell’allora sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon (Lega) e convertito in legge n. 58 del 28 giugno 2019, l’ingresso nell’INPGI 1 di circa 14 mila “comunicatori” che oggi versano all’INPS il 2021 ed accantonando ora per allora complessivamente circa un miliardo e mezzo di euro dei loro futuri contributi previdenziali fino al 2031 proprio per garantire la tenuta e la sostenibilità dell’ente dei giornalisti, a sorpresa al “Palazzaccio” di piazza Cavour a Roma é stato rimesso in discussione il versamento che sembrava ormai pacifico all’INPGI 1 dei contributi previdenziali dei dipendenti di pubbliche amministrazioni addetti ad attività di informazione e comunicazione anche costituite in ufficio stampa, ma iscritti all’Albo dei giornalisti come pubblicisti o professionisti.

Il dilemma se i contributi previdenziali di questi dipendenti pubblici non contrattualizzati con contratti giornalistici, ma di altro tipo, debbano essere versati all’INPS – come avveniva fino al 2000 – o, invece, all’INPGI 1 dovrà essere sciolto tra pochi mesi dalle Sezioni Unite Civili della Cassazione. Ma la loro decisione avrà di fatto valore di legge. Ecco perché si può, anzi, si deve parlare di “allarme rosso” per l’ente di via Nizza.
Appare, infatti, evidente che la prossima decisione che prenderanno gli “ermellini” potrebbe avere effetti dirompenti sul bilancio dell’INPGI 1 e se sarà affermato il principio che sia, invece, esclusivamente l’INPS il destinatario dei versamenti contributivi previdenziali da parte di un datore di lavoro pubblico per i propri dipendenti iscritti all’albo dei giornalisti, la sorte dell’ente di via Nizza sarebbe, purtroppo, inesorabilmente segnata perché verrebbero a mancare per sempre delle entrate contributive di peso fondamentale.

A rimettere la delicatissima questione al massimo organo interpretativo del diritto in Italia é stata la sezione lavoro della stessa Suprema Corte, presieduta da Amelia Torrice, con un’articolata ordinanza interlocutoria di 18 pagine (é la n. 27173 del 27 novembre scorso, cliccare su http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20201127/snciv@sL0@a2020@n27173@tI.clean.pdf), redatta dal consigliere Irene Tricomi, ritenendo la questione di particolare importanza quanto ai profili sistematici, nonché per le ricadute di forte impatto sociale ed economico, in quanto investe anche l’esame del rilievo, a tale specifico fine, della contrattualizzazione dei profili professionali relativi a informazione e comunicazione rispetto alle caratteristiche della professione del giornalista, come delineata dalla legge istitutiva n. 63 del 1969.

Il caso esaminato riguarda l’esito di un’ispezione dell’INPGI 1 del 15 marzo 2007 in cui era stato contestato alla ASL di Pescara il mancato versamento dei contributi previdenziali per circa 140 mila euro, per il periodo 1° gennaio 2001- 31 dicembre 2006, relativi alla posizione di due dipendenti, entrambi giornalisti pubblicisti, rispettivamente, responsabile ed addetto dell’ufficio stampa dell’Azienda ospedaliera. Il Tribunale di Roma aveva accolto l’impugnativa dell’USL di Pescara, ma la Corte d’Appello di Roma aveva ribaltato il verdetto dando pienamente ragione all’INPGI 1. Su ricorso dell’USL, esaminato a ben 13 anni di distanza dalla data dell’ispezione, il sostituto procuratore generale della Cassazione Alessandro Cimmino ha chiesto l’annullamento della sentenza di appello perché l’attività svolta dai due dipendenti applicati all’ufficio stampa aziendale non integrava attività giornalistica, ma attività di marketing, informazione e promozione aziendale.

Ma la Sezione lavoro della Suprema Corte, dopo aver analiticamente ricostruito la vicenda e la storia dell’INPGI dalla sua nascita e bilanciato le contrapposte tesi, ha preso tempo. E considerando la questione di diritto di particolare rilievo, ha ritenuto opportuno rivolgersi alle Sezioni Unite che nei primi mesi del 2021 dovranno dirimere una volta per tutte l’intricata questione a favore dell’INPS o dell’INPGI 1. A meno che nel frattempo per sbloccare la situazione non entri in vigore un’apposita “leggina” chiarificatrice.

Pierluigi Roesler Franz

Corte di Cassazione Sezione Lavoro ordinanza n. 27173 del 27 novembre 2020 (Presidente Amelia Torrice, relatore Irene Tricomi)

 

Ivan Zambardino

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