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Occupy Corriere, la crisi dell’editoria diventa una campagna anti-manager

Ci sono almeno due modi per raccontare la guerra al Corriere della Sera, che oggi e domani non sarà in edicola per uno sciopero contro il durissimo piano industriale presentato dal management Rcs. Il primo è quello di collocarla nella più generale rivoluzione che sta investendo tutto il mondo editoriale nel passaggio dalla carta stampa al digitale. Una crisi che incrocia il crollo della raccolta pubblicitaria e i tagli delle sovvenzioni pubbliche, tocca tutti i grandi gruppi (da Mondadori al gruppo Espresso), ha chiuso molti piccoli giornali e semina esuberi un po’ ovunque (sono 58 i giornali che nell’ultimo anno sono ricorsi allo “stato di crisi” e 1139 i giornalisti coinvolti) facendo temere il peggio per i conti dell’Inpgi.
In Rcs il piano di ristrutturazione prevede la chiusura di dieci periodici e 800 esuberi, di cui 110 giornalisti nel solo quotidiano di via Solferino, pari a un terzo della redazione, oltre alla riduzione delle pagine, il taglio degli stipendi e la vendita di alcune sedi (compresa via Solferino). Un progetto definito “suicida» dal comitato di redazione e che «di fatto sfigura il primo quotidiano italiano (stando agli ultimi dati di diffusione) visto che il Corriere tuttora presenta i conti in attivo».
L’altro modo di raccontare la guerra di Rcs è quella di sottolineare le analogie con il caso Mps, il che non fa temere nulla di buono per i possibili sviluppi. Da qualche settimana, con una campagna d’inchiesta che non ha precedenti nella storia della stampa italiana, le pagine del giornale ospitano il racconto della strana acquisizione del gruppo spagnolo Recoletos da parte di Rcs nel 2007, che aveva come Advisor Mediobanca e che è descritta come la causa fondamentale dell’indebitamento del gruppo pari a 800 milioni di euro. Una decisione presa dall’allora amministratore delegato Antonello Perricone, uomo Fiat molto vicino a Luca di Montezemolo, e che costò alle casse del gruppo 1,1 miliardi di euro.
Un’operazione che l’amministratore delegato precedente, Vittorio Colao, aveva giudicato troppo rischiosa e che la Consob punì con una sanzione di 200mila euro per mancata trasparenza. Nel racconto del quotidiano di Ferruccio de Bortoli sarebbe stata quella la madre di tutti gli “errori” del management un po’ come l’acquisto di Antonveneta (di proprietà del banco Santander della famiglia Botin, intrecciata alla proprietà del gruppo Recolets) costò a Montepaschi un bagno di sangue dal quale non si è mai ripresa.
Per la proprietà di Rcs il problema è che il secondo racconto rischia di prevalere sul primo, e sta già mettendo sul banco degli imputati ex manager e grandi azionisti del gruppo (tra i quali Mediobanca, advisor dell’operazione Recoletos), dei quali si ricordano bonus d’ingresso milionari, liquidazioni molto generose e dividendi poco giustificati. Un attacco frontale in stile Occupy Wall Street che si è attirato le ironie di giornali di sinistra ma che potrebbe segnare un precedente anche per altre crisi aziendali.

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