MENTRE LA RAI VA ALLO SBANDO, SPAGNA E FRANCIA RINUNCIANO AGLI SPOT PER UNA TV PUBBLICA DI QUALITÀ

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Non si placano le polemiche che hanno accompagnato la prima puntata della trasmissione di Michele Santoro accusato da due autorevoli (ma non indipendenti) quotidiani di essere una trasmissione troppo faziosa. “Per quale arcano motivo – ha scritto Vittorio Feltri nel suo editoriale, parlando del canone Rai – devo passare del denaro agli imbonitori della sinistra che insultano coloro i quali non la pensano come loro, li diffamano e li descrivono quali nemici della democrazia?”


Ma il caso Annozero non ha fatto altro che gettare paglia dove il fuoco già ardeva. Lo slittamento di ‘Ballarò’ per fare spazio a ‘Porta a Porta’ dove era ospite Berlusconi, il mancato rinnovo del contratto al “sovversivo” Marco Travaglio, la revoca dello scudo legale a ‘Report’, la rottura del contratto con Sky che avrebbe fatto guadagnare alla Rai 50 milioni all’anno, per sette anni, e che si è concluso a tutto vantaggio di Mediaset, i continui attacchi da parte di Berlusconi alla stampa ‘fannullona’ e alla tv che non adempie al servizio pubblico perché critica costantemente il governo, l’organizzazione da parte del sindacato dei giornalisti di una manifestazione a favore della libertà di informazione minacciata dalla legge che limita la pubblicazione delle intercettazioni ha dato luogo ad un clima incandescente.

Il problema di giustificare il pagamento della “tassa canone” con la qualità del servizio pubblico è stato affrontato anche in altri Paesi d’Europa e qui, a differenza dell’Italia, è stato risolto con importanti e coraggiose leggi di riforma.

Sarkozy ha attuato la riforma della tv pubblica con una legge entrata in vigore il 5 gennaio che ha introdotto la graduale eliminazione della pubblicità, dal primo gennaio 2009, e l’oscuramento totale, a partire dal primo dicembre 2011.
Per compensare i mancati introiti pubblicitari, valutati per il primo anno a 450 milioni, è stata imposta una tassa dello 0,9% sul fatturato di operatori telefonici e fornitori d’accesso a Internet mentre non è stato aumentato il canone pagato dai cittadini.
Fa parte della riforma anche la nomina del presidente di France Télévisions: prima di competenza dell’authority televisiva, il Csa (Conseil Superieur de l’Audiovisuel) e adesso affidata al governo. Il Consiglio dell’audiovisivo dipenderà dalla presidenza del governo, ma i suoi sette consiglieri saranno indicati dal Parlamento. Con un mandato di sei anni e la possibilità di intervenire nell’autorizzazione alle fusioni, nelle controversie e nella determinazione di regole e meccanismi per rilevare l’audience, il Consiglio si occuperà di fissare un piano quadriennale con le tappe per la trasmissione in chiaro e la copertura statale.

Sull’esempio del presidente francese, poco tempo fa, il Parlamento spagnolo ha approvato la proposta del governo Zapatero di eliminare la pubblicità dall’emittente pubblica Rtve. La legge n. 8 del 28 agosto 2009 (Ley 8/2009, de 28 de agosto, de financiación de la Corporación de Radio y Televisión Española) prevede l’eliminazione, dal 1° gennaio 2010, di qualsiasi comunicazione pubblicitaria e, già dal 1° ottobre, un calo di circa il 50% nel numero di spot trasmessi dalle emittenti TVE 1 e TVE 2. Il taglio delle entrate pubblicitarie (stimato in 447 milioni di euro nel 2009) sarà compensato da una tassa del 3% a carico delle emittenti commerciali private, da una tassa dello 0,9% a carico delle società di tlc fissa e mobile e dalle tasse di concessione sull’uso dello spettro elettromagnetico.

L’obiettivo della legge è affermare l’indipendenza e la libertà della tv pubblica sottraendola da ogni condizionamento di carattere commerciale. Inoltre, in considerazione del fatto che la qualità del servizio pubblico dipende anche dalla possibilità di dare accesso al maggior numero di cittadini, Rtve non potrà offrire contenuti a pagamento o ad accesso condizionato.


Il legislatore spagnolo ha specificato che la nuova legge recepisce le norme sui tetti pubblicitari contenuti nella Direttiva 2007/65/CE. Una direttiva a cui anche l’Italia, entro la fine dell’anno, si dovrà adeguare e che chiede una maggiore “flessibilità” dei tetti pubblicitari e stimola una sostanziale deregulation del settore.
Il problema era già stato affrontato dal nostro viceministro per le comunicazioni, Paolo Romani, il quale aveva rivelato l’intenzione del governo di approvare una legge che tagli gli spot “a tutte le reti che hanno ricavi anche da canoni o abbonamenti”. Vale a dire la Rai (l’unica rete con il canone) e Sky (l’unica con gli abbonamenti).
Un’idea ispirata – secondo le dichiarazioni rilasciate da Romani – proprio dal modello seguito dal governo francese.
Peccato che l’Italia, nel panorama europeo, rappresenti un caso a parte. In nessuno Stato, infatti, il primo competitor della tv pubblica è di proprietà del Presidente del Consiglio. Berlusconi non potrebbe seguire l’esempio di Sarkozy e Zapatero senza che la sinistra inneggi al conflitto di interessi. Verrebbe quasi da pensare: “poverino”!

Fabiana Cammarano

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