MEDIASET VERSO LA7. PLURALISMO A RISCHIO?

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Tra la quindicina di soggetti interessati spunta Mediaset. Ma anche Cairo, Ben Ammar, e il fondo Clessidra sono vicini a Berlusconi. I sindacati, l’Idv e la Fnsi avevano già paventato un danno al pluralismo. Entro il 24 settembre saranno formalizzate le offerte non vincolanti. Da lì in poi, ci sarà una progressiva scrematura. Il tutto dovrebbe decidersi entro la fine del 2012. Intanto La7 continua a crescere, ma i ricavi non bastano: accumulato altri 35 milioni di debiti nel primo semestre del 2012.
E pensare che a giugno Franco Bernabé, presidente di Telecom Italia, aveva negato ogni rapporto con Mediaset: «Assolutamente no. Non c’è nessun rapporto con Mediaset». Ma è anche vero che, come ha affermato l’ad di Sky Italia, Andrea Zappia, «quando c’è un operatore in vendita, chiunque va a vedere i documenti». E quindi l’interessamento di Mediaset sarebbe finalizzato a recepire informazioni su una concorrente diretta. Ci sarà tempo per chiarire la situazione.
Ricordiamo che l’assemblea dei soci di TIMedia ha già deciso, mesi fa, di scindere il suo fornitore di contenuti dall’operatore di rete. In altre parole una società che comprende La7, La7D e Mtv (TIMedia possiede il 51% del canale musicale) e un’altra che racchiude le frequenze, consistenti in 3 multiplex. Il tutto per avare più possibilità di vendita. Infatti in tal modo è possibile anche uno “spezzatino”: le tv ad uno, le frequenze ad un altro.
E Mediaset sarebbe interessata, o almeno vuole sondare il terreno per entrambe. Infatti per le tv si è presentata Mediaset in persona. Per le frequenze il Biscione ha agito tramite la controllata Ei Towers, l’operatore di rete.
Di certo l’emittente del Cavaliere è la pretendente più strana. La7 sembra essere diventata un “fortino” anti-Berslusconi, una sorta di succursale di Rai3. E soprattutto quest’anno sarà rinvigorita dall’arrivo di Santoro con tutto il suo seguito tra cui Vauro, Travaglio. E poi c’è la Dandini, Fromigli, Mentana. Insomma le star di La7 non son proprio vicine a Berlusconi. Dunque, di certo, la “candidatura” di Mediaset fa discutere. In ogni caso l’operazione avrebbe il via libera dall’Antitrust. La legge Gasparri permette ad un solo operatore di arrivare ad un massimo del 20% del Sic (Sistema integrato delle comunicazioni). In altre parole è lecito possedere fino ad un quinto della grande “torta della tv”. E quel limite, anche per la corazzata di Cologno Monzese, è lontano.
Ma il dossier con i documenti esplicativi dell’attività di TIMedia sono stati chiesti e letti da molte società: circa 15, ma non tutte note. Si è parlato del gruppo Espresso. La società di De Benedetti sembrava interessata all’affare industriale delle frequenze. Ma lo stesso ingegnere ha poi negato. Ora sembra possibile un connubio tra il gruppo Espresso e Sky (altra pretendente iniziale) per “armare” un emittente al numero 9. Dunque le ipotesi Espresso e Sky sembrano difficili. Anche Al Jazeera, dopo un iniziale interessamenti, sembra venuta meno. Sono circolate voci anche sul gruppo Bertelsmann, una multinazionale tedesca fondata nel 1835 con interessi ampissimi nel mondo della comunicazione, su Discovery Channel e su Della Valle, patron della Fiorentina e noto imprenditore italiano.
Poi ci sono altri pretendenti, diversi da Mediaset, ma che sono, in un modo o nell’altro, vicini alla famiglia Berlusconi. C’è Urbano Cairo, già presente in TIMedia con la concessionaria pubblicitaria Cairo Communication. Cairo è stato assistente di Berlusconi, nonché “procacciatore” di pubblicità di Mediaset (tramite Publitalia) e della Mondadori. C’è Tarak Ben Ammar, presidente di PrimaTv, proprietario di Sportitalia e consigliere sia di Telecom (società che vende TIMedia) che di Mediobanca (advisor dell’operazione insieme a Citigroup). E anche Ben Ammar è un noto caro amico di Berlusconi e ha spesso e volentieri intessuto affari con le sue società. Più recente è l’interessamento della cordata guidata dal Fondo Clessidra, amministrato da Claudio Sposito e Marco Bassetti. Non stiamo parlando di due manager qualunque. Sposito in passato è stato ad della Fininvest; Bassetti ha guidato la Endemol, la società di format, di cui Mediaset ha posseduto per anni una buona fetta di azioni.
Con queste premesse, volendo essere maligni, si potrebbe pensare ad un rischio per il pluralismo televisivo, che in Italia è già monco.
In effetti, già qualche mese fa, i sindacati Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil hanno paventato una distorsione del pluralismo. Anche l’Idv, il 27 giugno scorso, si è fatto portavoce dei danni che una vendita “sbagliata” di La7 potrebbe arrecare al pluralismo. E il senatore Elio Lannutti ha invitato l’Esecutivo a vigilare sull’intera operazione. Anche la Fnsi ha sollevato dei dubbi: «Il Dipartimento Emittenza Radiotelevisiva chiede ai vertici aziendali di fare chiarezza su un’operazione che non ha precedenti in Italia e sul piano industriale delle emittenti televisive il cui futuro rischia di essere compromesso mentre si avverte la necessità di un potenziamento e di un rilancio degli spazi di informazione e approfondimento. Il Dipartimento, inoltre, auspica che gli eventuali acquirenti mettano in campo progetti editoriali ed industriali credibili per salvaguardare il ruolo di un importante player del panorama informativo italiano».
In ogni caso, passando ai più freddi numeri, l’acquisto di La7 sarebbe un affare economicamente controverso. TIMedia in borsa è capitalizzata per 237 milioni (16 centesime ad azione). Non è una cifra alta, considerata la qualità dell’emittente e delle frequenze. Inoltre stando ad alcune stime di mercato, nel 2013 è previsto un aumento del 33% dei ricavi. E poi un +13,1% nel 2014 e un +11,6% nel 2015, anno in cui si prevedono ricavi per 240 milioni. Ma a quanto pare, sono stime che non tengono conto delle spese. Nel 2011 c’è stata una perdita di 83 milioni (circa 30 in più rispetto al 2010), e nel primo semestre del 2012 un rosso di 35. L’indebitamento netto supera i 200 milioni. Infatti La7 paga uno share medio ancora basso: 3,8% con punte vicine al 10% durante il tg di Mentana. La pubblicità, anche se in crescita non basta. Le spese sono tante. La scuderia di La7 è sempre più prestigiosa e costosa. Recenti gli ingaggi della Parodi e di Santoro. Solo il teletribuno, con il suo Servizio Pubblico, costerà 8 milioni.
Dunque, in una situazione di crisi generalizzata, la vendita potrebbe anche non concretizzarsi? Vedremo.

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