LA SORPRESA DEI FONDI ALL’EDITORIA: PIÙ AIUTI AI GRANDI GRUPPI

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«Per favore, togliamo i finanziamenti all’editoria laddove l’editoria non sta in piedi da sola. Non si tengono in piedi i morti, perchè c’è puzza di cadavere»: a dire queste parole è Carlo De Benedetti, presidente del gruppo editoriale L’Espresso, a margine della lectio magistralis che ha tenuto ieri alla facoltà di Economia dell’Università di Palermo.
A capo di uno dei più consistenti gruppi che edita La Repubblica, L’Espresso, molti quotidiani locali, Radio Capitai, DeeJay e M2o e relative tv, De Benedetti in modo indistinto prende spunto dalle truffe (denunciate dalla Federazione della Stampa e da Mediacoop) sul finanziamento pubblico per dire «guardiamo ai giornali di oggi e agli abusi che vengono fatti» e che continuano. «Bisognerebbe togliere tutti i finanziamenti pubblici che poi finiscono normalmente in violazione delle leggi, in furti e abusi», ha proseguito, per «lasciare campo libero all’editoria sana», mentre «i giornali di partito se li paghino i partiti. Se hanno già i rimborsi elettorali non si capisce perchè noi contribuenti dobbiamo pagare i giornali di partiti. Se li paghino loro». Appare contraddittorio, però, giudicare «un errore, una smargiassata» l’uscita di Celentano: «L’idea di chiudere alcuni giornali è una cosa di cattivo gusto, contro la libertà di stampa che lui invoca».
Il sostegno pubblico. Peccato che proprio contro questi abusi le testate non commerciali stiano insistendo invano da anni perchè i governi rivedano i criteri di assegnazione dei fondi e li riservi solo ai «giornali veri». Promessa fatta anche dal premier Monti, ma nel frattempo molti giornali chiudono davvero. Il finanziamento pubblico alla stampa nasce come garanzia del pluralismo, nel rispetto costituzionale della libertà d’informazione. Ma nell’ondata «anti casta» si può perdere di vista una differenza sostanziale: i grandi quotidiani e periodici hanno risorse dalla pubblicità, preclusa dagli investitori ai giornali di opinione.
Ma anche i grandi gruppi editoriali godono di sostegni pubblici, come tutti: nel 2011 gli sconti sulle tasse per l’acquisto della carta sono stati di 30 milioni di euro in credito d’imposta; ammonta dai 30 ai 40 milioni il fondo per le agevolazioni del 50% sulle tariffe telefoniche. Lo “sconto” pubblico più consistente, e che incide molto su chi vende più copie (i grandi gruppi), è l’Iva al 4% sul venduto in edicola, ma applicato solo sul 20% del totale, mentre il restante 80% è esente, e anche sugli abbonamenti incassati. Su questi ultimi sono state tagliate le agevolazioni, colpendo II Sole24ore e Avvenire.
C’è poi il capitolo degli “stati di crisi” che hanno devastato le redazioni, anche di giornali che non avevano bilanci in rosso sangue: in totale dal 2009 sono stati prepensionati 597 giornalisti (su circa 18.500) anche grazie al fondo di 20 milioni di euro della Presidenza del Consiglio. Al gruppo L’Espresso, per esempio, è stato riconosciuto lo stato di crisi dal dicembre 2009 al novembre 2010 e ha usufruito di 92 prepensionamenti: 34 al Sole24ore, dall’aprile 2010 al marzo 2012; il gruppo Rcs quotidiani, che edita II Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport, dal novembre 2009 al novembre 2011 ha mandato in pensione anticipata 87 giornalisti, per i periodici altri 34 e, in un nuovo stato di crisi dovrebbero essere 31. Il gruppo Mondadori (periodici) dal dicembre 2009 al novembre 2011 ha utilizzato il fondo per 52 prepensionamenti. E cos? tante altre testate, da La Stampa (34 giornalisti) al Messaggero (38, pi? 15 al Mattino di Napoli e 14 al Gazzettino di Padova, per parlare del gruppo Caltagirone).
In una nota la Fnsi risponde che «il finanziamento pubblico all’editoria è necessario per tutte quelle realtà dell’informazione non meramente commerciali, di idee o di voci minoritarie, di promozioni di forme di autoimprenditorialità cooperativa che non possono contare sulle risorse di capitani di impresa come l’ing. De Benedetti». E se «i morti (i giornali chiusi) non si possono certo tenere in vita», la mano pubblica ha il dovere «di impedire la scomparsa di voci dell’informazione o, peggio, provocare suicidi assistiti». Il tutto all’insegna della “trasparenza” per escludere chi «ricorre ad espedienti, a violazioni o abusi», regole valide per tutti, precisa la Fnsi.

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