È finita la pacchia. Si cambi la “mission”, si razionalizzino le risorse, si facciano buoni format e ci si liberi dalla “dipendenza” dagli ascolti. È questo il consiglio alla Rai di Enrico Menduni, professore di Media e Comunicazione all’Università di Roma Tre.
Per l’accademico la fortuna della tv di stato ha retto fino quando le condizioni “esterne” sono state favorevoli. Menduni le elenca: tanta pubblicità; assenza di canali tematici e a pagamento; assenza di competitor stranieri (come è ora Sky). Fino a qualche anno fa non c’era concorrenza, quindi le mancanze della Rai, e anche di Mediaset, passavano inosservate. Non esistevano dei concorrenti con cui confrontarsi. Dunque l’azienda del Cavallo morente e quella del Biscione hanno campato alla grande.
Ora «Mediaset è un’azienda in difficoltà. La Rai semplicemente non è un’azienda, e fare tornare i conti di tante confuse attività non è possibile. A meno che il governo non metta mano al portafoglio, ipotesi (giustamente) solo teorica», afferma Menduni.
Per l’accademico il modello della tv generalista non può reggere nell’attuale mondo dei media tv. Bisogna ridisegnare gli obiettivi e la finalità, sia pubbliche (educativa, informativa) che commerciali, dell’azienda. Ciò che gli inglesi chiamano sbrigativamente “mission”.
La Rai che propone Menduni ha meno canali, meno testate giornalistiche e sedi ragionali. In effetti l’impianto mastodontico dell’azienda è fonte di critiche già dagli anni di Bernabei. Razionalizzare e concentrare il perimetro aziendale, al di là delle belle parole, ha un significato preciso: licenziamenti. Inoltre, sempre secondo Menduni, la tv di Stato non dovrebbe essere schiava degli ascolti. In effetti un buon servizio pubblico deve espletare le proprie funzioni senza fissarsi troppo sulle curve d’ascolto visto che percepisce un canone che, ricordiamo, è un imposta sul possesso di un apparecchio ricevente le trasmissioni radiotelevisive. E poi ci vuole qualità nei contenuti, ormai smarrita nella selva dei soliti format clonati uno sull’altro. «Oggi importiamo programmi inglesi sul melodramma italiano, girati in Italia con un direttore d’orchestra italiano», ammonisce Menduni.
Morale della favola, il professore di Media e Comunicazione paventa una fine ingloriosa: «si buttano soldi per un paio di anni e poi si fa la fine dell’Alitalia».
Speriamo di no. Comunque già qualcun altro aveva paragonato la tv pubblica ad un’azienda in fallimento. Angelo Guglielmi, qualche settimana fa, ipotizzò la candidatura di Enrico Bondi, il salvatore della Parmalat, come dirigente di Viale Mazzini.
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