Industria dei media, introiti in calo ma l’Agcom punta sul web

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Nuove direzioni verso cui sta evolvendo l’industria dei media in Italia, il rapporto annuale dell’Agcom conferma i trend negativi del comparto. Ma ci sono buone notizie e web e radio vanno a gonfie vele

Media italiani, ancora negativi i trend di settore. Ma a ben vedere la notizia non è poi così negativa, almeno nei numeri. Questo è il dato che emerge dalla Relazione annuale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni presentata al Parlamento: il calo è molto meno vistoso che in passato, mentre web e radio fanno segnare andamenti positivi.

Per questo motivo, secondo l’Acgom, si può parlare di una battuta d’arresto della fase recessiva che ha investito negli ultimi anni il settore dell’informazione. I numeri parlano chiaro: nel 2014 gli introiti generati dal comparto dei media avevano toccato quota 14,378 miliardi, mentre nel 2015 si sono fermati a 14,207 miliardi. Il calo è stato dell’1,2%, una flessione ben più lieve se paragonata a quella degli ultimi anni.

La contrazione registrata nel 2015 lascia intravedere, ha spiegato l’Autorità, una nuova direzione verso la quale sta evolvendo l’industria dei media scandita dalle prospettive offerte dai processi di convergenza media-telco, ora possibili grazie anche alla disponibilità di una connessione veloce (banda larga e ultralarga)”.

La maggior parte dei ricavi viene da Tv e radio che salgono dello 0,8% a 8,501 miliardi. Cresce anche il web, 1,708 miliardi per un +5,2%. E allora qual è l’anello debole? Purtroppo, ancora una volta, l’editoria presenta il dato peggiore: – 7,5% per un totale di 3,998 miliardi.

La tv in chiaro (4,5 miliardi) è ancora sovrana per quanto riguarda gli introiti pubblicitari, ma il divario con le pay tv rimane abbastanza sottile (3,324 miliardi). La pubblicità all’interno dei programmi continua a rappresentare la primaria fonte di guadagno (41%), seguita dalle offerte tv a pagamento (38%) disponibili anche sul web. Fondi pubblici, canone Rai e altre convenzioni pesano solo per il 21%.

Per quanto riguarda l’editoria, i periodici hanno perso il 10% (da 2,209 a 1,987 miliardi), mentre i quotidiani hanno subito un calo del 4,7% passando da 2,111 a 2,011 miliardi. Questi dati riflettono il carattere strutturale della crisi dell’editoria italiana con una diminuzione complessiva del 5%. La diminuzione maggiore viene dalla pubblicità (-6%), mentre la diminuzione delle vendite pesa per il 4%.

Il settore che sembra affrontare meglio la crisi della pubblicità è senza dubbio la radio: con 650 milioni di ricavo le risorse provenienti dall’advertising sono cresciute del 12% rispetto al 2014. La radio è anche il settore che sembra dipendere più strettamente dai capitali degli inserzionisti, che coprono il 78% delle risorse totali.

Anche, forse soprattutto, dal web arrivano buone notizie: prosegue il trend positivo che si era interrotto solo nel 2013. Nel 2015 il valore stimato dei ricavi è stato di 1,708 miliardi di euro. Ancora una volta è la pubblicità (di tipo display e video) ad offrire la maggior parte dei fondi con una crescita del 6%. In questo modo il peso di questa voce di ricavi si conferma ancora al di sopra del 50% del totale.

Sul fronte dell’accesso alla banda ultralarga si registra un aumento della diffusione (5,4% della popolazione), ma l’incremento è ancora insufficiente. Nonostante l’Italia sia salita di un posto (dal 26° al 25°) nell’indice Digital Economy and Society (che classifica i Paesi dell’Unione europea in base alle prestazioni digitali), la situazione del nostro Paese in questo campo è ancora di estrema arretratezza. Quali sono i freni a un ulteriore sviluppo? Secondo Angelo Cardani, presidente dell’Autorità, tutto si spiega con “un minor livello di specializzazione e cultura digitale da un lato e l’invecchiamento della popolazione dall’altro”. Ma è giusto sottolineare anche un altro aspetto: i prezzi. Mentre la media di spesa in Europa è dell’1,3% del reddito pro-capite, qui da noi per coprire le spese serve l’1,8%.

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