Il punto di Simone di Meo dopo la sentenza copia/incolla di Saviano

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Simone di MeoCaro Direttore,

in una precedente vita ci è capitato spesso di occuparci di Roberto Saviano e delle accuse di plagio che giornalisti famosi e non, scrittori esordienti e «cronistini di provincia» (come li ha elegantemente definiti talvolta) gli hanno rivolto. Ho avuto la fortuna di essere il primo, in tempi non sospetti, a sollevare il caso e a ottenere giustizia per la mancata citazione in Gomorra di alcuni miei reportage pubblicati su Cronache di Napoli, lo stesso giornale cui la Corte d’Appello di Napoli ha riconosciuto un indennizzo di 60mila euro che Roberto dovrà pagare per aver copiato due articoli senza fare menzione della fonte. Non fu una scelta facile quella di contestare l’icona antimafia. Quando, all’epoca, osai difendere il mio e l’altrui lavoro dal saccheggio letterario di Saviano fui accolto con scetticismo e derisione non tanto dai colleghi quanto dai pasdaran della legalità da salotto. Conservo ancora le mail con cui mi auguravano la galera, mi anticipavano l’apertura di inchieste anticamorra a mio carico e mi mettevano in guardia sul fatto che se avessi continuato a chiedere conto a Roberto dell’origine del suo lavoro improbabili servizi segreti mi avrebbero «reso la vita impossibile». E tutto questo perché avevo denunciato ciò che pure un giudice adesso ha certificato: Saviano ha copiato dai giornalisti napoletani per scrivere alcuni capitoli del suo bestseller. Lo ha fatto allora e ha continuato a farlo anche dopo. Nel mio caso, per avere ragione delle risibili ricostruzioni difensive di Saviano, non fu necessario nemmeno adire le vie legali, che pure avevo intenzione di percorrere, ma bastò una semplice lettera del mio avvocato, Lucio Giacomardo. Non una lunga missiva giuridica, ma la semplice comparazione tra i testi dei miei articoli e le pagine del libro per mostrare la più lampante della verità: le parole, le frasi, i concetti erano identici. Ergo, l’ufficio legale della Mondadori per evitare forse altre noie al suo fuoriclasse si affrettò a rettificare il libro e a inserire a pag. 141 il mio nome come autore dello scoop copiato da Roberto. Non andai oltre né chiesi altro. Per me poteva bastare. Non per lui, però, che da quel momento ha sfruttato ogni occasione possibile per attaccare i giornali napoletani cui pure aveva attinto a piene mani dipingendoli come house organ della camorra e strumenti di diffusione della subcultura malavitosa campana. Perché si sia vendicato così, ancora oggi me lo chiedo.

Dicevo: non ai soli colleghi napoletani è stata scippata la possibilità di sentirsi coinvolti in un grande progetto culturale e sociale (cui Saviano ha dato carne e sangue) di ribellione alla prepotenza del crimine. Tanti altri sono stati marginalizzati e ridotti al ruolo di scomodi sparring partner. Ad esempio ai colleghi del settimanale albanese «Investigim» che hanno accusato la star antimafia di aver rubato un intero numero speciale della rivista senza far menzione della fonte. Ci sono poi stati i presunti plagi dello scrittore Giampiero Rossi, che si è ritrovato interi passi dei suoi libri sull’allarme amianto a Casale Monferrato recitati (ma senza citazione) nello show di Roberto a «La7», e del giornalista di «Oggi» Andrea Amato che si è riletto ampi stralci di una sua inchiesta sulla ‘Ndrangheta in un reportage di Roberto su la Repubblica. E che dire di Gianluigi Nuzzi che su Libero gli scrisse: «Non ci hai citati, pazienza. Anzi, peccato. Era un’occasione per mettere a tacere chi l’accusa di fare copia-incolla degli articoli di giornalisti, magari locali che si infilano nei vicoli della camorra per capire e scrivere. Senza scorta»? A inizio anno, ha fatto scalpore un tweet con cui Saviano ha denunciato la presenza di un boss a una trasmissione Rai. Che scoop! Peccato che la notizia l’avesse pubblicata, un anno prima, «Il Roma». Appena qualche mese fa, l’ultimo episodio: Saviano firma la prefazione del rapporto Legambiente sulle ecomafie. Come per magia, compaiono gli stessi concetti, le stesse frasi, le stesse parole usati poche pagine più in là dal giornalista Giovanni Tizian in un altro capitolo del dossier. In questo caso, per salvare Roberto, si sono presi la colpa del pasticciaccio i ragazzi che si sono occupati dell’editing. Caro Saviano, la verità non è fango. Il copia e incolla senza citare la fonte, piuttosto, cos’è?

Simone Di Meo

 

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